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Poveri: dal Rapporto Caritas emerge che in Italia sono più di 5 milioni

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Il numero dei poveri assoluti nel nostro Paese continua ad aumentare, soprattutto tra i giovani, sottolinea l’organizzazione nel Rapporto su povertà e politiche di contrasto, evidenziando un’allarmante cronicizzazione e multidimensionalità dei bisogni e una correlazione tra livelli di istruzione e povertà economica, che diventa anche una povertà educativa.

I poveri aspettano da noi un aiuto efficace che li tolga dalla loro prostrazione, non solo propositi o convegni che, dopo aver studiato dettagliatamente le cause della loro miseria, abbiano come unico risultato la celebrazione di eventi solenni, impegni che non giungono mai a concretizzarsi o vistose pubblicazioni destinate ad ingrossare i cataloghi delle biblioteche”.

Così ha scritto Papa Francesco nel Messaggio indirizzato al Direttore Generale della FAO José Graziano da Silva in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2018, che si è celebrata il 16 ottobre 2018).

La citazione è stato fatta durante la presentazione, avvenuta il 17 ottobre 2018 a Roma presso la Fondazione CON IL SUD, in occasione della Giornata Mondiale di lotta contro la povertà, del Rapporto della Caritas italianaPovertà in attesa” che integra per la prima volta il XVII Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia e il V Rapporto sulle politiche di contrasto contro la povertà in Italia, con l’intento di offrire uno strumento aggiornato di studio ed approfondimento, nonché per stimolare l’azione delle istituzioni civili. Particolare attenzione è stata posta al tema della povertà educativa, un fenomeno principalmente ereditario nel nostro Paese, che a sua volta favorisce la trasmissione intergenerazionale della povertà economica.

In Italia il numero dei poveri assoluti (cioè le persone che non riescono a raggiungere uno standard di vita dignitoso) continua ad aumentare, passando da 4 milioni 700mila del 2016 a 5 milioni 58mila del 2017, , nonostante i timidi segnali di ripresa sul fronte economico e occupazionale. Dagli anni pre-crisi ad oggi il numero di poveri è aumentato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgimento avvenuto per effetto della recessione economica.

Negli anni scorsi, pure segnati da una crescente rilevanza del fenomeno e della sua percezione, il senso di urgenza era patrimonio soprattutto dei soggetti sociali a contatto con tutto questo, con maggiore difficoltà dei mondi della politica e della comunicazione – ha affermato Don Francesco Soddu, Direttore della Caritas italiana – Si faceva fatica a convincere che la povertà fosse una priorità non tanto o solo per la Caritas, ma per il Paese, per le comunità territoriali, e soprattutto per le persone piombate o rimaste intrappola te in questa condizione. E che non erano solo casi limite, straordinari o bizzarri, ma la crisi aveva reso tutto questo la normalità del disagio per fasce significative di popolazione”.

L’evidente particolarità di questi anni di post-crisi riguarda la questione giovanile: da circa un lustro, infatti, la povertà tende ad aumentare al diminuire dell’età, decretando i minori e i giovani come le categorie più svantaggiate (nel 2007 il trend era esattamente l’opposto). Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono 1 milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione 112mila (il 10,4%): oggi quasi un povero su due è minore o giovane.

Per quanto riguarda la cittadinanza, la povertà assoluta si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di soli italiani (5,1%), sebbene in leggero aumento rispetto allo scorso anno, mentre si attesta su livelli molto elevati tra i nuclei con soli componenti stranieri (29,2%). Lo svantaggio degli immigrati non costituisce un elemento di novità e nel 2017 sembra rafforzarsi ulteriormente. Volendo semplificare, tra i nostri connazionali risulta povera una famiglia su venti, tra gli stranieri quasi una su tre.

L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono (oggi più di ieri) sulla condizione di povertà. Dal 2016 al 2017 si sono aggravate le condizioni delle famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (passando dal 8,2% al 10,7%). Al contrario i nuclei dove il “capofamiglia” ha almeno un titolo di scuola superiore registrano valori di incidenza della povertà molto più contenuti (3,6%).

Il legame tra povertà educativa minorile e condizioni di svantaggio socio-economico risulta nel nostro Paese particolarmente accentuato. La povertà educativa rimane, in Italia, un fenomeno principalmente ereditario, che riguarda in gran parte famiglie colpite dalla tradizionale povertà socio-economica. Ad esempio si evidenziano situazioni di maggior svantaggio in tal senso (sia sul fronte dei servizi che delle possibilità individuali) proprio nelle regioni del Mezzogiorno che registrano i più alti livelli di povertà assoluta. Al Sud e nelle Isole c’è una minore copertura di asili nido, di scuole primarie e secondarie con tempo pieno, una percentuale più bassa di bambini che fruiscono di offerte culturali e/o sportive e al contempo una maggiore incidenza dell’abbandono scolastico. Sul fronte della cittadinanza gli alunni stranieri evidenziano tassi di povertà educativa maggiori rispetto ai loro coetanei autoctoni. La differenza è già molto evidente nel primo anno di corso: all’esito di giugno, il tasso di non ammissione degli studenti stranieri è pari al 22,9%, mentre quello degli italiani è decisamente più basso (10,8%): quasi uno studente straniero su quattro non è ammesso all’anno successivo.

Nell’ambito della Strategia Europa 2020 l’Italia ha raggiunto l’obiettivo relativo all’area educazione/istruzione, superando nel 2016 di poco la soglia richiesta del 26% di laureati tra la popolazione 30-34enne con +8,3 punti percentuali dal 2007. Tale incidenza rimane comunque al di sotto della media europea a 28 Paesi (39,9%) nel 2017. Al confronto con gli altri Paesi, l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa per presenza di laureati, solo prima della Romania e il Rapporto dell’OCSE sulla situazione dell’istruzione nei Paesi membri, pubblicato lo scorso settembre, conferma che, pur con qualche segnale di recupero del gap, l’Italia permane una situazione di ritardo.

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