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Cambiamenti climatici: il “passaggio” di Doha non fa morire Kyoto

cambiamenti climatici il passaggio di Doha non fa morire Kyoto

Ma rimane l’unico aspetto positivo di una deludente Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici.

Dopo la “Bali Road Map” (2007), il “Copenhagen Accord” (2009), il “Cancún Agreements” (2010) e la “Durban Platform” (2011), siamo ora pervenuti alla “Doha Gateway”, con cui si è conclusa nella capitale del Qatar la 18a Conferenza delle Parti della Convenzione quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici, con un giorno di ritardo rispetto al programma prestabilito, perché il Presidente della COP, S.E. Abdullah bin Hamad Al-Attiyah, affermando che non poteva essere trovato alcun accordo che rendesse tutti felici, ha costretto ad una seduta protrattasi tutta la notte, pur di raggiungere una conclusione.
Così, se era impossibile trovare una soluzione che avesse incontrato la soddisfazione di tutti, è stato facile raggiungere un’intesa che di fatto ha scontentato tutti, oltre ad aver suscitato le proteste formali della Russia sulla conduzione dei lavori.

L’atto conclusivo della Conferenza è in sostanza un testo di passaggio (gateway) al Kyoto 2, un secondo periodo di impegni per i Paesi sviluppati della durata di 8 anni, che apre la strada ad un nuovo processo di negoziati per un trattato globale formalmente vincolante sui tagli alle emissioni per tutte le Parti, da raggiungersi con un calendario prestabilito entro il 2015 e che entrerà in vigore a partire dal 2020.
I meccanismi di mercato previsti dal protocollo di Kyoto (Clean Development Mechanism (CDM), Joint Implementation (JI) e International Emission Trading (IET), potranno continuare a funzionare a partire dal 2013 per tutti i Paesi industrializzati che avranno accettato gli obiettivi per il secondo periodo di impegno.

“Mi congratulo con la Presidenza del Qatar per la gestione di una Conferenza così complessa e impegnativa – ha dichiarato la segretaria esecutiva dell’UNFCCC, Christiana Figueres nel corso della conferenza stampa conclusiva – Ora, c’è molto lavoro da fare, ma Doha ha costituito un altro passo nella giusta direzione. La porta per rimanere al di sotto di + 2 °C rimane a malapena socchiusa, come ci dicono gli scienziati e dimostrano i dati. I negoziati sui cambiamenti climatici debbono ora concentrarsi su modi e mezzi concreti per accelerare l’azione e l’ambizione. Nel mondo ci sono i soldi e le tecnologie per rimanere al di sotto dei 2 °C. Dopo Doha, si tratta di una questione di dimensioni, velocità, determinazione e rispetto del calendario” .

In realtà, al di là dell’enfasi dei comunicati ufficiali, questo secondo periodo di impegni resta piuttosto vago nei target dei tagli per evitare le emissioni climalteranti in continua crescita, e se ci sono le tecnologie per affrontare la questione, non c’è ancora un percorso per movimentare i 100 miliardi di dollari entro il 2020 per il Green Climate Fund, istituito a Cancún per aiutare i Paesi poveri per le azioni di adattamento per lottare contro il global warming.

Come avevamo previsto (cfr: “Bambole non c’è una lira!”), proprio la mancanza di risorse finanziarie da mettere sul piatto ha costituito la principale causa dello stallo dei negoziati e delle differenze esplicitate tra i Paesi in via di sviluppo, che si attendevano concreti impegni, e i Paesi sviluppati, che non hanno potuto, o voluto, mettere a disposizione i mezzi finanziari.
A tal riguardo, non è stata in grado di assolvere ad un ruolo di leadership l’UE, alle prese con la grave crisi economica di molti Stati membri, né hanno intrapreso una nuova strada gli USA che non hanno modificato le posizioni assunte precedentemente sulla riduzione delle emissioni (17% entro il 2020, prendendo a base le quote del 2005) e sul finanziamento al Fondo, come condizione ad una minor rigidità dei tagli alle emissioni, nonostante le aspettative seguenti la rielezione del Presidente Obama e gli avvertimenti dell’uragano Sandy, o forse anche a causa dei 60 miliardi di dollari necessari per riparare i danni da esso causati nel solo New Jersey.

Ci sembra che in questa “ritardata e faticosa conclusione della Conferenza di Doha”, come lui stesso l’ha definita, una sintesi efficace di quanto sta accadendo è stata fatta proprio dal Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Corrado Clini.
Rientrato in anticipo in Italia a causa della pre-crisi di Governo, il Ministro ha dichiarato all’ANSA che “il negoziato deve affrontare contemporaneamente, da un lato la sfida della riduzione del consumo dei combustibili fossili, mentre cresce nelle economie emergenti la domanda di energia, dall’altro l’emergenza ambientale legata all’aumento dell’intensità e della frequenza degli eventi climatici estremi in tutte le regioni del Pianeta”.
“Quanto alle difficoltà di Doha – ha aggiunto Clini – ha pesato molto la caduta di tensione e di attenzione da parte dei Paesi che stanno fronteggiando la crisi economica. È tuttavia un errore di prospettiva pensare che i cambiamenti climatici non siano una parte importante ed urgente dell’agenda politica economica globale”.

Resta il fatto, comunque, che un altro anno senza risultati importanti se n’è andato e l’appuntamento della COP 19, l’anno prossimo a Varsavia, non promette grandi aspettative, stante anche l’opposizione assunta dalla Polonia, sia a Doha, ma soprattutto in seno all’Unione europea, ad una road map più ambiziosa di riduzione delle emissioni.

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