Green economy Sostenibilità

Green Technologies: per competitività l’Italia è 5a in Europa

Una ricerca del Centro Ricerche Enrico Fermi, presentata nel corso dell’evento “La transizione ecologica: un’opportunità di sviluppo per l’Italia”, organizzato in collaborazione con l’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e il Forum Disuguaglianze e Diversità, evidenzia la competitività dell’Italia nelle Green Technologies, ma servono politiche pubbliche per cogliere le opportunità della transizione ecologica.

La trasformazione verde non è in conflitto con lo sviluppo, può favorire le imprese e la creazione di buoni lavori, e che minori disuguaglianze sono associate a maggiore potenzialità tecnologica verde. Servono politiche pubbliche per cogliere le opportunità della transizione ecologica.

È quanto è emerso da una ricerca dei ricercatori del CREF (Centro Ricerche Enrico Fermi) Angelica Sbardella e Aurelio Patelli, presentata il 25 gennaio 2023 nel corso dell’evento “La transizione ecologica: un’opportunità di sviluppo per l’Italia”, svoltosi il 25 gennaio 2023 presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e organizzato dal CREF insieme all’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e al Forum DD (Forum Disuguaglianze e Diversità).

La ricerca nasce dall’attenzione che il CREF ha dedicato negli ultimi anni alle Green Technologies (come definite dalla Cooperative Patent Classification) ovvero quelle innovazioni e tecnologie volte a creare prodotti o modificare processi esistenti per supportare una vita sostenibile e rispettosa dell’ambiente, cresciute dai primi anni Duemila a livello globale soprattutto nei settori dell’energia e dei trasporti.

Le Green Technologies, che oltre a rappresentare un importante strumento per il contenimento e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, sono anche un’importante opportunità per il rilancio di interi comparti economici, sono state studiate dal CREF attraverso l’Economic Fitness and Complexity (EFC), la disciplina economica sviluppata dal suo Presidente professor Luciano Pietronero e dal suo team di ricerca, utilizzata da World Bank Group per definire le azioni economiche mirate in diversi paesi, e che anche l’UE ha deciso di impiegare per la valutazione dell’efficacia e dell’impatto dei PNRR.

La ricerca del CREF presentata al CNEL si concentra geograficamente sull’Europa 28+ (EU con UK e Macedonia, Montenegro, Norvegia, Svizzera, Turchia) e sul periodo 2000-2016 che è particolarmente significativo per la produzione di brevetti verdi in Europa. Infatti circa il 30% delle innovazioni verdi mondiali sono state sviluppate in Europa (European Patent Office) in quegli anni, mentre nel 2000 l’attività brevettuale nel settore delle innovazioni tecnologiche legate alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico era quasi inesistente nella maggior parte dei paesi e i dati dopo il 2016 non sono di qualità sufficiente per essere utilizzati.

Dal punto di vista della quantità dei brevetti green presentati, l’Italia nel 2016 è al 4°posto a pari merito con la Spagna con il 4% (nel 2000 era al 3%). Guida la classifica la Germania con il 46% (scesa dal 56%), al 2° posto la Francia con il 17% (che raddoppia dall’8% del 2000) e al 3° posto il Regno Unito con il 9% (dall’8% del 2000). Per quanto riguarda invece la EFC, sempre nell’ambito dell’Europa 28+, nel 2016 si osserva una graduale crescita di competitività dei Paesi dell’Europa del Sud e dell’Est. In particolare, l’Italia è al 5° posto dopo Germania, Inghilterra, Francia e Austria.

La capacità tecnologica verde italiana, nel 2016, si è concentrata su invenzioni relative alle tecnologie in 4 macrosettori chiaveriduzione dei gas serra nel comparto energetico (31%), mitigazione del cambiamento climatico nei trasporti (19%), nell’edilizia (15%) e nella produzione di beni (15%).

Una recente ricerca EPO-IEA sulla richiesta di brevetti per l’idrogeno verde, di cui l’Europa mantiene la leadership mondiale, tallonata dal Giappone, l’Italia si colloca al 5° posto in Europa, specialmente per i brevetti per elettrolizzatori e per la produzione di acciaio.

Guardando dentro ai macro settori chiave si scopre che, per quanto riguarda l’ambito energetico l’Italia tocca il picco del numero di brevetti depositati rispetto alla generazione di energia da fonti rinnovabili (18.8%) e nella classe delle tecnologie con potenziale per la mitigazione delle emissioni di gas serra (7%), come nelle batterie e nei sistemi di stoccaggio dell’idrogeno e dell’energia termica, e mostra vantaggi comparati in entrambe.
Per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico nei trasporti, una delle classi più rappresentate è quella relativa ai trasporti su gomma (16.4%), tra cui figurano tecnologie per batterie, veicoli elettrici e ibridi, per migliorare l’efficienza nei veicoli con motore a scoppio e per l’uso di carburanti alternativi.

Di contro, l’Italia non mostra un vantaggio comparato nelle tecnologie relative alla riduzione di emissioni nella generazione di energia nucleare che rappresentano circa l’1% dei brevetti verdi totali. Infine, nello stesso anno, quote importanti di brevetti verdi hanno interessato le tecnologie per la mitigazione del cambiamento climatico relative al macrosettore della gestione dei rifiuti (7%), con un 5% nella gestione dei rifiuti solidi tra cui figurano applicazioni per il riuso, riciclo e recupero di materiali: dalla carta alle batterie esauste e gli scarti edili. Nelle tecnologie per l’adattamento al cambiamento climatico, si evidenzia in particolare un 5% in quelle per la protezione della salute, per esempio con l’applicazione di tecnologie volte alla preservazione della qualità dell’aria.

Tra le regioni, al primo posto per numero di brevetti green c’è la Lombardia (che era prima anche nel 2000), seguita dal Piemonte (stessa posizione che nel 2000), Emilia-Romagna e Veneto, e in quinta posizione la Toscana. Scende il Lazio da quinto a settimo. La prima regione del Sud è la Campania, seguita dalla Puglia. Peggiora la Sicilia (era la nona regione nel 2000, adesso è al 14° posto) e chiude la classifica il Molise.

Per quanto riguarda la competitività tecnologica verde, in parte a causa dell’entrata di diverse regioni del Sud ed Est Europa, assenti nelle rilevazioni dei primi anni duemila e in accordo con trend economici più generali, in quindici anni si osservano diversi movimenti nella distribuzione di fitness europea. In Italia si registra un balzo in avanti. Le regioni nel primo quartile passano da 4 nel 2000 a 7 nel 2016 (Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Valle D’Aosta, Toscana, Lazio e SüdTirol). Lombardia e Lazio sono trainanti e rappresentano le uniche due regioni a posizionarsi in entrambi gli anni nel miglior quarto tra le regioni europee in termini di Green Technological Fitness, ma anche Emilia-Romagna, Toscana e Liguria si posizionano tra le regioni europee con maggiori capacità tecnologiche verdi. Vi sono anche regioni che perdono in competitività verde, in particolare Piemonte e Marche, che scendono in una posizione intermedia insieme a Umbria, Friuli-Venezia Giulia e Campania. La regione che fa meglio al Sud è la Sicilia. Chiudono la classifica Calabria (ancora nel terzo quartile), Basilicata e Molise (entrambe nell’ultimo quartile). Infine si menziona la Green Technological Fitness in Energie Rinnovabili, che misura la capacità di innovare per l’obiettivo di una riduzione dei gas serra nel comparto energetico, e che mostra che Liguria e Toscana hanno i risultati migliori. Subito dopo, staccate, Lombardia, Emilia-Romagna, Marche, Campania e Puglia.

Dalla ricerca emerge che la relazione tra disuguaglianze di reddito e la Green Technological Fitness dei Paesi è negativa e significativa perché l’alta disuguaglianza è associata a costi più alti e all’incertezza nello sviluppo di nuove tecnologie e capabilities verdi.

Affinché le politiche ambientali e climatiche compensino le disuguaglianze territoriali, occorre tenere conto dei contesti locali in termini di specializzazione industriale, lock-in tecnologici, segregazione occupazionale e dipendenza materiale da industrie altamente tossiche – ha sottolineato Maria Enrica Virgillito, Ricercatrice presso l’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, intervenuta con una relazione sulla transizione ecologica e i luoghi lasciati indietro in Europa –  Serve una politica fortemente attenta ai luoghi, e che focalizzi l’attenzione sui luoghi abbandonati che devono diventare oggetto di battaglie ambientali e della transizione verde”.

Secondo Andrea Roventini, Economista e Professore presso l’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna, la transizione ecologica oltre a offrire opportunità di crescita alle imprese può creare nuovi posti lavoro con migliori retribuzioni nel settore elettrico e nell’industria manifatturiera legata alle rinnovabili, ma le politiche d’innovazione e industriali verdi devono essere coadiuvate da regolamentazioni che impediscano, ad esempio, la vendita di auto con motore endotermico dal 2035 e di caldaie a gas dal 2025 o che impongano standard energetici stringenti agli edifici.

Servono politiche industriali e di innovazione verdi, e uno stato innovatore che sostenga la cooperazione tra imprese pubbliche e private, e sfrutti al meglio le grandi potenzialità delle imprese pubbliche italiane, le cui competenze tecnologiche e industriali sono essenziali per decarbonizzare l’economia – ha affermato RoventiniUno stato attivo nel sostegno dei lavoratori e nella gestione delle crisi aziendali della transizione, che possono essere un’occasione per riposizionare le imprese coinvolte nelle produzioni verdi”.

La ricerca del CREF mostra che la capacitazione tecnologica è sempre il risultato di un lungo e graduale processo, e quella verde è influenzata da quella non verde. Anche se innovazione verde e non-verde possono competere quando le risorse finanziarie sono limitate, sviluppare tecnologie non verdi complesse richiede competenze e risorse che possono essere utili anche per l’innovazione eco-sostenibile. Le regioni ancora indietro nella transizione ecologica potrebbero puntare a sviluppare combinazioni di know-how che hanno maggiori probabilità di favorire lo sviluppo in ambito verde, come nell’archiviazione digitale, nell’ingegneria meccanica, in particolare legata agli impianti di illuminazione, e nella chimica, in particolare nei cementi e nelle ceramiche e nel trattamento delle acque reflue.

La ricerca del CREF mostra che la trasformazione verde è già un processo in atto, in Italia e in Europa, e non è in conflitto con lo sviluppo: giustizia sociale e ambientale possono marciare insieme – ha commentato Fabrizio Barca, Co-coordinatore del Forum DD – La ricerca ci conferma che nelle società con minori disuguaglianze economiche la fitness tecnologica verde è maggiore, e che la trasformazione ambientale può produrre buoni lavori e sviluppo. Ma sappiamo che nulla è scritto. La fitness non è una profezia, è una potenzialità che va realizzata. È qui che giocano un ruolo fondamentale le politiche”.

 

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