Emilia Romagna Lombardia Malattie e cure Regioni Salute

Fase 2 in Lombardia e Emilia-Romagna: scenari per ridurre ospedalizzazioni

Uno Studio coordinato da CMCC e UNIBO che ha elaborato diversi possibili scenari di impatto delle misure di distanziamento sociale sulle ospedalizzazioni da Covid-19 durante la “Fase 2”, ha rilevato che per mantenere sotto controllo i nuovi ricoveri, il numero medio dei contatti interpersonali giornalieri per ogni cittadino, rispetto a quelli pre-lockdown, in Lombardia dovrebbe ridursi dell’80%, mentre in Emilia-Romagna, dove l’epidemia è stata meno violenta, occorrerebbe dimezzarlo.

Secondo un Progetto, coordinato dalla Professoressa Maria Pia Fantini del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie (DIBINEM) dell’Università di Bologna e dal Dottor Antonio Navarra, Presidente del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), che ha elaborato diversi possibili scenari di impatto delle misure di distanziamento sociale durante la Fase 2 sulle ospedalizzazioni da Covid-19, per mantenere sotto controllo i nuovi ricoveri, in Emilia-Romagna occorrerebbe dimezzare nei prossimi mesi il numero medio di contatti interpersonali giornalieri per ogni cittadino rispetto a quelli pre-lockdown, partendo da una condizione di normalità con una media di 15 contatti al giorno per persona. In Lombardia, dove l’epidemia è stata più violenta, il numero dei contatti dovrebbe ridursi invece dell’80% per ottenere lo stesso risultato, per non dover applicare nuove misure di quarantena fino all’estate.

Lo StudioForecasting COVID-19-Associated Hospitalizations under Different Levels of Social Distancing in Lombardy and Emilia-Romagna, Northern Italy: Results from an Extended SEIR Compartmental Model”, diffuso online in forma pre-print come avviene per lo più in questo momento di emergenza per la pandemia del nuovo coronavirus, allorché i ricercatori si affrettano a diffondere i risultati qualora contengano elementi che possono incidere nell’azione di contrasto al Covid-19, ha utilizzato un modello epidemiologico noto come SIR-SEIR.

Ipotizzando diverse misure di distanziamento sociale è possibile prevedere l’impatto che l’epidemia di Covid-19 potrebbe avere sui servizi ospedalieri – ha spiegato Chiara Reno, prima autrice dello Studio e specializzanda in Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Bologna – Questi modelli previsionali possono essere di aiuto per i decisori politici per informare le scelte da compiere nel corso della cosiddetta Fase 2”.

Questo modello, sviluppato per il contesto cinese, suddivide la popolazione in diverse categorie rispetto all’esposizione alla malattia: le persone suscettibili all’infezione; le persone esposte al virus; gli infetti sintomatici e asintomatici; gli ospedalizzati e i guariti.

Per l’adattamento al contesto italiano, che ha mostrato differenze nelle modalità di presa in carico dei casi Covid-19, è stato necessario espandere il modello aggiungendo un’altra categoria, quella dei pazienti con sintomi lievi che vengono curati a domicilio, che in Italia rappresentano circa il 70% dei casi registrati, utilizzando i dati dell’epidemia resi disponibili dalla Protezione Civile.

Poiché i dati ufficiali sul numero degli infetti totali non sono affidabili e probabilmente rappresentano solo la punta dell’iceberg, per modellizzare la diffusione della malattia i ricercatori hanno utilizzato come variabile dipendente le ospedalizzazioni. In questo modo il modello permette di calcolare la probabile evoluzione nel tempo dell’epidemia attraverso il ricorso all’ospedale.

La differenza tra gli scenari relativi alle due regioni considerate dipende dai numeri iniziali dell’epidemia (a partire dai primi focolai registrati in Lombardia) e probabilmente anche dalle diverse modalità organizzative dei due sistemi sanitari regionali.
Il sistema lombardo, concentrato soprattutto sul ruolo degli ospedali, può contribuire ad aumentare lo stress su queste strutture sanitarie – ha aggiunto la Reno – Il sistema misto dell’Emilia-Romagna, basato sia sugli ospedali che su reti di supporto territoriali, potrebbe invece aiutare a gestire meglio la diffusione dell’epidemia”.

Gli scenari presentati dai ricercatori si basano su assunti teorici che riguardano i contatti sociali, ma per meglio identificare sotto il profilo epidemiologico la quantità e qualità delle relazioni interpersonali nei vari contesti occorrerà fare ricorso a dati geolocalizzati provenienti dalle reti telefoniche, purché siano validi e riproducibili.

Le informazioni ottenute attraverso le applicazioni mobile potrebbero inoltre avere un’importanza cruciale per l’identificazione e l’isolamento dei nuovi casi: misure essenziali per contenere ulteriormente l’epidemia. È quanto realizzato, ad esempio, in Sud Corea, anche se un grosso problema che deve essere affrontato su questo punto è il rispetto della privacy dei cittadini.

Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.