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Arancia Rossa: le Regioni chiedono la denominazione dei succhi

denominazione arancia rossa

Al fine di tutelare gli interessi dei consumatori e di promuovere la libera circolazione dei succhi di frutta e altri prodotti analoghi all’interno dell’Unione, la Direttiva 2001/112/CE concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana, successivamente modificata dalla Direttiva 2012/12/UE, ha stabilito disposizioni specifiche relative alla produzione, alla composizione e all’etichettatura dei prodotti in questione.

In particolare, la Direttiva 2012/12/UE, nell’Allegato I (Denominazioni, definizioni e caratteristiche dei prodotti), sezione II (Ingredienti, trattamenti e sostanze autorizzati) recita: “Nella preparazione di succhi di frutta, puree di frutta e nettari di frutta in cui sono utilizzate le specie corrispondenti ai nomi botanici che figurano nell’allegato V, la denominazione di vendita reca il nome del frutto impiegato o il nome comune del prodotto. Per le specie di frutta non incluse nell’allegato V [ndr: tra cui l’arancia] la denominazione di vendita reca il nome del frutto impiegato o il nome comune del prodotto”.

Pertanto, la maggior parte delle bevande che riportano la denominazione “arancia rossa” può contenere percentuali minime di succo dei frutti di queste varietà, mentre la quantità prevalente proviene generalmente dal poco pregiato e più economico, succo di arancia bionda brasiliano. Come “succo di arancia rossa” sono commercializzate anche le bevande a base di succo concentrato contenenti coloranti, tra cui il rosso cocciniglia (E 120).

Tutto questo si traduce in un’informazione non corretta per i consumatori (in base alla normativa europea l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non devono indurre in errore il consumatore in merito alle sue caratteristiche e ai suoi effetti), oltre che in un danno economico per il settore agrumicolo italiano, la cui produzione totale di agrumi è di 3,152 milioni di tonnellate, corrispondenti a circa il 10% del valore dell’intera produzione ortofrutticola nazionale (ISMEA 2017).

In Italia le superfici agrumetate si attestano intorno ai 145.140 ettari, con una netta preponderanza di quelle arancicole (60,0%), seguita dal gruppo mandarini-clementine (26%), dai limoni (12%) e dalle “altre” (bergamotto, pompelmo, ecc.) (2%) (ISMEA 2017). Le produzioni nel quadriennio 2014-2016 si attestano intorno ai 2,52 milioni di tonnellate, con il primato delle arance (60,44%) seguita dal gruppo dei “piccoli frutti” (26,09%), dai limoni (12,32%) e dagli “altri agrumi” (1,15%) (ISMEA 2017).

L’Italia ha sempre occupato una posizione di rilievo nel contesto agrumicolo internazionale per l’elevata vocazione produttiva del territorio e per le peculiarità di alcune specie che hanno permesso di avvalersi dei marchi DOP e IGP riconosciuti a livello europeo. Purtroppo, il comparto agrumicolo nazionale, nell’ultimo ventennio, è stato interessato da notevoli cambiamenti che hanno coinvolto sia l’offerta sia la domanda, quali, tra l’altro, l’aumento del costo degli input di produzione, una marcata riduzione dei prezzi alla produzione e la concomitante estensione, ormai in tutto il territorio nazionale, del Citrus Tristeza Virus (CTV) che ha generato una forte riduzione della qualità e quantità della produzione. Questo ha prodotto una graduale disattivazione dei processi di produzione nell’intera agrumicoltura nazionale e persino l’abbandono delle coltivazioni in alcune aree marginali, con conseguenti effetti sfavorevoli sulle produzioni, sui redditi e sull’occupazione dell’intera filiera agrumicola nazionale.

Ad aggravare la situazione è subentrata l’introduzione di misure europee tese a favorire l’importazione da parte di Paesi terzi, come la trattativa dell’Unione Europea con i Paesi del Mercosur, che rischia di avere effetti catastrofici sul settore già pesantemente colpito da accordi preferenziali come le condizioni favorevoli concesse al Marocco. La produzione agrumicola nazionale è destinata prevalentemente al consumo del prodotto fresco, la restante parte è utilizzata per la trasformazione industriale. In particolare, con riferimento all’annata 2015-2016, si stima che il 48% della produzione nazionale sia stata avviata per il consumo fresco, mentre il 31% all’industria di trasformazione per la produzione di succhi ed essenze (ISMEA 2017).

L’incidenza del prodotto trasformato sulla produzione totale degli agrumi è aumentata negli anni, determinando un cambiamento nel rapporto tra le due destinazioni del fresco e del trasformato. L’aumento di agrumi, ed in particolare di arance, destinate alla trasformazione si deve, dal lato della domanda, ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni negli stili di vita dei consumatori (destrutturazione dei pasti, maggiore richiesta di prodotti facili da consumare fuori casa, maggiore attenzione per gli aspetti legati alla salute) e dal lato dell’offerta, all’evoluzione delle innovazioni tecnologiche produttive.

Il succo d’arancia è il derivato di frutta più consumato in Europa ed è attualmente presente sul mercato in 4 principali categorie merceologiche: succhi NFC (Not From Concentrate), succhi ottenuti da succo concentrato (FC, From Concentrate), nettari e bevande analcoliche a base di agrumi.

Il succo di agrumi NFC non ha subito alcun trattamento di concentrazione né di diluizione, è stabilizzato mediante pastorizzazione e viene destinato alla commercializzazione nella catena dei prodotti refrigerati (4 °C), con un periodo di conservazione di 45-60 giorni. I succhi di agrumi NFC reperibili in commercio sugli scaffali della GDO italiana sono per la gran parte ottenuti dalla trasformazione industriale di arance bionde e rosse, limoni e mandarini, prodotti in Italia, appartenenti a gruppi eterogenei di cultivar. Anche se risulta estremamente difficile individuare nei derivati industriali la cultivar di origine, si può senz’altro affermare che i succhi posseggono standard qualitativi elevati, molto apprezzati anche nei mercati esteri.

Al contrario, i succhi FC sono ottenuti per diluizione con acqua dei succhi concentrati, di provenienza estera, sino a ripristinare la concentrazione del prodotto di partenza. Tali prodotti sono qualitativamente inferiori rispetto ai succhi NFC in quanto le operazioni di concentrazione causano un deperimento nutrizionale ed organolettico del prodotto. Attualmente, la stragrande maggioranza del succo d’arancia consumato nel mondo proviene da concentrato di origine brasiliana.

Per quanto sopra esposto, al fine di salvaguardare la competitività del comparto agrumicolo italiano, le Regioni e le Province Autonome chiedono l’intervento del Governo e della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo affinché si ottenga da parte della Unione Europea la modifica della normativa europea sulla denominazione dei succhi di frutta.

In particolare, si richiede l’inserimento della denominazione specifica “arancia rossa” nella Direttiva per le bevande ottenute utilizzando esclusivamente succo da varietà pigmentate con un contenuto di antocianine ≥ 60 mg/l nel caso di succo di arancia rossa NFC (non da concentrato) e ≥ 100 mg/kg nel caso di succo di arancia rossa FC (da concentrato). Infatti, in mancanza di tale riferimento, il succo di arancia rossa può essere un prodotto di fantasia rosso ottenuto anche per colorazione successiva dell’arancia bionda con coloranti. Con tale inserimento dovrà essere invece necessariamente presente il succo di arance rosse nelle relative percentuali, con vantaggi per tutta la filiera.

Eleonora Giovannini

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