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Altro che benefici dallo scioglimento dei ghiacci artici!

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Se finora l’attenzione per gli effetti dello scioglimento dei ghiacci artici si era soffermata sulle conseguenze climatiche e ambientali,  ora sappiamo che a queste dobbiamo aggiungere quelle economiche dal costo altissimo, quasi quanto le dimensioni dell’economia globale del 2012, a causa del rilascio del metano ora intrappolato nei terreni perennemente ghiacciati.

La scorsa settimana la Rivista Nature ha pubblicato un nuovo Studio che, per la prima volta, calcola il potenziale impatto economico derivante dall’immissione in atmosfera dei gas serra ora intrappolati nei ghiacci artici: il costo ammonterebbe a 60.000 miliardi di dollari, quasi quanto le dimensioni del PIL interno lordo globale del 2012, equivalente a 70.000 miliardi di dollari (Gail Whiteman, Chris Hope & Peter Wadhams: “Climate science: Vast costs of Arctic change” – Nature n.499, pagg. 401-403).

È una sorta di monito che gli autori rivolgono ai policy maker affinché non si lascino suggestionare da coloro che enfatizzano i benefici economici del riscaldamento dell’Artico: estrazioni di petrolio e gas, sfruttamento delle risorse di minerali e aperture di nuove rotte di navigazione. Secondo i tre ricercatori delle Università dei Paesi Bassi (Erasmus) e della Gran Bretagna (Cambridge) il prezzo da pagare sarebbe ben superiore a tali eventuali benefici.

Gli autori dello Studio, utilizzando lo stesso metodo del Rapporto Stern (2006) per quantificare le perdite economiche conseguenti all’aumento della CO2 in atmosfera, hanno calcolato, in particolare, i danni che potranno derivare dal rilascio per 10 anni in atmosfera del metano dallo scioglimento del permafrost sepolto sotto il mare della Siberia Orientale (East Siberian Arctic Shelf). In 10 anni, secondo i ricercatori, potrebbero essere immesse in atmosfera 50 miliardi di tonnellate di metano che provocherebbero un aumento delle temperature di circa 2 °C nell’arco di 15-35 anni. Il metano nell’atmosfera è gas serra, con una capacità di intrappolare l’irradiazione terrestre di circa 23 volte superiore a quella dell’anidride carbonica. Di conseguenza saranno più frequenti gli eventi estremi, come inondazioni e siccità che si abbatteranno in maniera disastrosa sui Paesi in via di sviluppo di Africa, Sud America e Asia, perché è lì che questi eventi si concentreranno, che potrebbero pagare l’80% del salatissimo “conto”.

Ovviamente, la risonanza mediatica di questo Studio è stata enorme e altrettanto forte è stato il fuoco di sbarramento che si è riversato sulle sue conclusioni che rischiano di compromettere i progetti di sfruttamento in corso e, soprattutto, gli investimenti fatti, con inevitabili ripercussioni sui mercati finanziari. Così la grande stampa statunitense ha ospitato vari interventi di scienziati che ritengono improbabili gli scenari a cui sono giunti i ricercatori. Tant’è che uno di loro (Peter Wadhams, a capo della Polar Ocean Physics all’Università di Cambridge) a seguito di un articolo comparso sul Washington Post “Methane mischief: misleading commentary published in Nature” di Jason Samenow che ha scritto che “quasi tutto quel che è noto e pubblicato sul metano indica che questo scenario è molto improbabile” e di un altro comparso nello stesso giorno sul New York Times “Arctic Methane Credibility Bomb” di Andrew C. Revkin dove si afferma che “Mancano le prove che una tale bomba sia plausibile”, ha ritenuto di controbattere il giorno seguente alle confutazioni in un post.

Non sono d’accordo che le nostre conclusioni siano fuorvianti. Nessuno degli scienziati che respingono il nostro scenario conosce il meccanismo unico attualmente in corso nella regione artica. Tutti stanno citando ricerche che precedono la prova empirica che ha portato alla luce questo meccanismo, che è diventato chiaro solo negli ultimi anni nel contesto della rapida perdita di ghiacci estivi [ndr: il riferimento è alla scoperta del fenomeno delle emissioni di metano senza precedenti dal fondale marino dell’Artico, effettuata da Natalia Shakhova e da Igor Semiletov dell’International Arctic Research Center, diffusa nel 2010 con l’articolo di Science: “Estensive Methane Venting to the Atmosphere from Sediments of the East Siberian Arctic Shelf”]. Quel che sta realmente accadendo è che ad ogni estate il ghiaccio marino si ritira sempre di più [cfr: “La calotta artica batterà il suo record negativo in agosto”] fino a che ci sarà una stagione senza ghiaccio sulla piattaforma siberiana, sufficiente a far sì che l’irraggiamento solare riscaldi l’acqua di superficie in modo significativo, fino a 7 °C secondo i dati satellitari. Abbiamo calcolato il suo effetto sul crescente riscaldamento globale complessivo, ottenendo un aumento di 0,6 °C entro il 2040 e le relative implicazioni finanziarie in questo secolo sull’economia mondiale. Noi consideriamo giustamente che questi dati siano importanti, meritevoli di ampia diffusione tra gli scienziati del clima, e anche Nature e i suoi revisori sono d’accordo con noi”.

Approfondimenti sul numero Luglio-Agosto di Regioni&Ambiente

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