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Inquinamento atmosferico: c’è un giudice… non solo a Berlino!

inquinamento atmosferico Londra

Il 2 novembre 2016 l’Alta Corte di Giustizia della Gran Bretagna aveva imposto al Governo inglese, portato in giudizio per la seconda volta in 18 mesi dall’ONG ambientalista ClientEarth, spalleggiata dal Sindaco di Londra, di approntare entro il 24 aprile 2017 un Piano per abbassare i livelli di inquinamento atmosferico che da troppi mesi avevano superato i valori massimi fissati dall’UE, e che entro il 31 luglio 2017 dovesse essere approvato un testo legislativo sulla qualità dell’aria.

Il Governo di Theresa May ha tergiversato per un po’, per poi chiedere alla Corte di non rendere pubblico il Piano fino a dopo le elezioni, perché le misure introdotte avrebbero un impatto molto forte prevedendo la chiusura al traffico di aree cittadine e multe salate per i contravventori e per i conducenti di auto e veicoli che superino determinati limiti alle emissioni.

Ora con sentenza del 27 aprile 2017 l’Alta Corte ha respinto la richiesta ribadendo che il Piano deve essere pubblicato entro il 9 maggio 2017.

Il continuo fallimento del Governo nel conformarsi alle Direttive e ai regolamenti costituisce una grave minaccia per la sanità pubblica – ha affermato Justice Garham che ha emesso la sentenza – Le 23.500 morti in Gran Bretagna ogni anno attribuite all’inquinamento atmosferico non consentono che la questione sia oscurata“.

Secondo la Direttiva sulla qualità dell’aria dell’UE, gli Stati membri avrebbero dovuto rispettare i limiti di biossido di azoto entro il 2010 ovvero entro il 2015 se avessero fornito piani adeguati per abbassare i livelli di gas. Tuttavia, molti di loro non sono riusciti a rientrare entro i limiti concordati e come ha denunciato anche l’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), l’esposizione al PM2,5 è stata responsabile nell’UE di circa 430.000 morti premature e quelle per esposizione a biossido di azoto (NO2) e ozono hanno rispettivamente raggiunto il numero di circa 71.000 e 17.000.

Contemporaneamente alla sentenza dell’Alta Corte britannica nei confronti del Governo inglese, la Commissione UE nel suo Pacchetto di infrazioni del mese di aprile 2017 ha comminato all’Italia un parere motivato, l’anticamera del deferimento alla Corte di Giustizia europea se non verranno date risposte adeguate entro 2 mesi, perché “non è ancora riuscita a risolvere il problema dei livelli persistentemente elevati di polveri sottili (PM10), che rappresentano un grave rischio per la salute pubblica“.
Secondo l’AEA, ogni anno l’inquinamento da polveri sottili provoca in Italia più di 66. 000 morti premature, rendendo il nostro Paese lo Stato membro più colpito in termini di mortalità connessa al particolato.

Si tratta di un ultimo avvertimento riguardante 30 zone di qualità dell’aria in tutto il territorio italiano in cui dal 1° gennaio 2005, data dell’entrata in vigore dei valori limite giornalieri di polveri sottili in sospensione (PM10), si sono registrati dei superamenti. Una precedente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea aveva già ritenuto l’Italia responsabile della violazione della legislazione UE pertinente per gli anni 2006 e 2007.
Per quanto riguarda il valore limite giornaliero, le 30 zone interessate sono situate nelle seguenti regioni: LombardiaVenetoPiemonteToscanaEmilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, UmbriaCampaniaMarcheMolisePugliaLazio e Sicilia. L’avvertimento si riferisce inoltre ai superamenti del valore limite annuale in 9 zone: Venezia-TrevisoVicenzaMilanoBresciadue zone della Pianura padana lombardaTorino Valle del Sacco (Lazio).

Nonostante la precedente lettera di costituzione in mora inviata al nostro Paese nel giugno 2016, le risposte date dal Governo italiano non sono state giudicate sufficienti per risolvere il problema.

Risponderemo alla lettera della Commissione UE sullo smog nelle città italiane illustrando nel dettaglio tutto ciò che il nostro Paese sta facendo per superare strutturalmente l’emergenza smog – si è affrettato a dichiarare il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – Stiamo affrontando dal primo giorno la questione dei superamenti nei livelli di inquinanti nelle nostre città del bacino padano, ma anche di altre aree italiane. A preoccuparci non è la prospettiva di una sanzione europea, ma innanzitutto il rischio che corrono la salute dei cittadini e la qualità dell’ambiente. Abbiamo già definito con le Regioni padane un accordo che sarà implementato con nuovi interventi concordati e coordinati e siglato in giugno in occasione del G7 Ambiente a Bologna“.

Il nostro Paese, tuttavia, ha già ricevuto nel febbraio u. s. dalla Commissione UE un altro “ultimo avvertimento” per le emissioni di NO2, prodotte principalmente da motori diesel (80%), a testimonianza che il problema dell’inquinamento atmosferico non può essere risolto con provvedimenti emergenziali e che i Piani presentati in questi anni non hanno avuto successo.
Tant’è che lo scorso febbraio Cittadini per l’aria e AIPI (Associazione Ipertensione Polmonare Italiana onlus), con il supporto di ClientEarth, dopo una diffida rivolta alla Regione Lombardia senza che abbia avuto alcun seguito, hanno presentato ricorso al TAR della Lombardia contro la Regione perché il Piano regionale di interventi per la qualità dell’aria (PRIA) adottato nel 2013 si sarebbe dimostrato del tutto inadeguato, come testimoniato dai continui sforamenti ai limiti delle emissioni degli ultimi mesi.

Nel 2005, rilevando le ripetute procedure d’infrazione mosse dall’Unione europea al nostro Paese per il superamento dei limiti di inquinamento atmosferico in alcune aree, tra cui la Piana fiorentina, la Procura di Firenze aveva avviato le indagini sull’inquinamento da PM10 e biossido di azoto nel territorio di Firenze, a conclusione delle quali 14 amministratori erano stati rinviati a giudizio per “non aver provveduto con urgenza e senza indugio per rimanere nei limiti di emissione massima consentiti, considerati i dati di rilevamento della qualità dell’aria“.
Nel 2010 il Tribunale di Firenze aveva pronunciato la sentenza di assoluzione perché “non vi era alcuna situazione di emergenza sanitaria a cui dovessero far fronte le pubbliche autorità”.

Ci deve pur essere un giudice a Berlino” concludeva Arnold, il mugnaio di Potsdam che non si rassegnava a perdere il suo mulino nella causa che gli aveva intentato il barone von Gersdorf per non essere più in grado di pagare le tasse, dopo che le acque che facevano funzionare le macine erano state deviate per interessi personali del barone stesso. Riuscito a portare la questione fino ai tribunali di Berlino, il mugnaio continuava a soccombere finché un giudice, su intercessione del re di Prussia Federico II il Grande che era venuto a conoscenza del caso, non gli riconosce i torti subiti.

All’aneddoto sono state attribuite, non fondate, reminiscenze letterarie, ma l’espressione “es gibt noch Richter in Berlin” è divenuta proverbiale per indicare che la giustizia riesce sempre ad affermarsi. Speriamo!

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