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Eurostat: nel 2015 l’Italia ha aumentato le emissioni di CO2 del 3,5%

Eurostat Italia ha aumentato emissioni CO2

Non sappiamo se la pubblicazione delle stime di Eurostat sulle emissioni di CO2 nell’UE siano state volutamente diffuse all’indomani del G7 dell’Energia in Giappone (Kitakyushu, 1-2 maggio 2016), a cui ha partecipato anche l’UE, rappresentata dal Commissario di Azione per il Clima e l’Energia Miguel Arias Cañete.
Di certo, i dati diffusi il 3 maggio 2016 costituiscono un vero e proprio campanello di allarme sulle possibilità che l’Unione, con questi trend, possa tener fede agli impegni sottoscritti con l’Accordo di Parigi.

Nel 2015, infatti, le emissioni di CO2 nell’UE sono aumentate dello 0,7% rispetto all’anno precedente.
Le emissioni di CO2 sono una delle principali cause del riscaldamento globale e rappresentano circa l’80% di tutte le emissioni di gas serra nella UE – sottolinea Eurostat – Esse sono influenzate da fattori quali le condizioni climatiche, la crescita economica, le dimensioni della popolazione, trasporti e attività industriali”.

Si deve osservare, inoltre – continua il Comunicato – che le importazioni e le esportazioni di prodotti energetici hanno un impatto sulle emissioni di CO2 nel Paese in cui si bruciano combustibili fossili: per esempio, se il carbone viene importato questo porta ad un aumento delle emissioni, mentre le importazioni di energia elettrica, non hanno alcun effetto diretto sulle emissioni nel Paese d’importazione”.

Ovviamente, la situazione a livello di Paesi membri dell’UE non è omogenea: c’è chi ha aumentato le emissioni e chi le ha diminuite, anche se l’incremento si è verificato nella maggior parte degli Stati membri.
Gli aumenti maggiori si sono registrati in Slovacchia (+ 9,5%), Portogallo (+ 8,6%) e Ungheria (+ 6,7%), ma anche l’Italia si è inserita tra quelli che hanno registrato gli aumenti maggiori (+ 3,5%), a fronte di una crescita economica dello 0,8%. In termini di decoupling, ovvero della necessità di ridurre le emissioni pur crescendo economicamente, come propugnato dai vari organismi internazionali (AIE, UNEP, OCSE, ecc), è stata una sconfitta, specialmente se si confrontano con i risultati degli altri Paesi europei del G7: la Gran Bretagna le ha diminuite del 2,9% a fronte di un PIL a +0,5%; in Germania sono rimaste stabili (PIL , + 1,7%); in Francia sono aumentate dell’1,7%, con una crescita del PIL, pari a 1,1%.
I maggiori cali invece sono stati registrati a Malta (-26,9%), Estonia
(-16,0%), Danimarca (-9,9%), Finlandia (-7,4%).

Non giungono notizie incoraggianti neppure dal G7 Energia.
Leggendo la Dichiarazione finale, si ha l’impressione che i leader dell’economia mondiale non abbiano alcuna fretta ad intraprendere quella transizione energetica, troppo a lungo rinviata e ormai ineludibile, necessaria per tener fede agli impegni sottoscritti con l’Accordo di Parigi. Nonostante le sollecitazioni e i moniti dei Direttori esecutivi dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) e dell’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA), presenti anche loro a Kitakiushu, e quantunque si faccia continuamente riferimento alla COP21 di Parigi, la sicurezza energetica assilla più che la decarbonizzazione che viene richiamata nell’enfatizzazione della cooperazione per le tecnologie innovative da introdurre in termini di CCS, peraltro controverse, mentre il ruolo delle rinnovabili rimane ancora complementare:
“ […] Noi confermiamo la nostra intenzione di rafforzare la cooperazione nel campo dell’innovazione tecnologica energetica, ricerca e sviluppo, nonché nelle sue applicazioni per accelerare i progressi tecnologici richiesti con urgenza verso l’energia pulita, incluse le rinnovabili, e pervenire ad una transizione energetica globale e sostenibile (punto 17).
[…]
Noi chiediamo ai Paesi che optano per la cattura, l’uso e lo stoccaggio della CO2 di lavorare ulteriormente su progetti dimostrativi su larga scala (punto 19) […]”.

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