Una nuova analisi condotta da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e del Dipartimento di Astrofisica dell’Università Radboud di Nimega, che ha inserito i dati sulla subsidenza delle aree costiere del mar Mediterraneo, ha rideterminato al rialzo le proiezioni dell’IPCC sull’aumento del livello marino entro il 2150.
Se nelle proiezioni sull’innalzamento del livello del mare lungo le aree costiere del Mediterraneo fossero inclusi e stimati, come dovrebbero, i movimenti verticali del territorio, ne deriverebbe un’esposizione al rischio di inondazioni nei prossimi decenni maggiore di quanto finora stimato.
È il risultato della Ricerca “Sea level rise projections up to 2150 in the northern Mediterranean coasts”, pubblicata il 18 dicembre 2023 sulla rivista internazionale Environmental Research Letters e condotta da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Radboud Radio Lab del Dipartimento di Astrofisica dell’Università Radboud di Nimega (Paesi Bassi).
“La subsidenza, cioè il lento movimento verso il basso del suolo dovuto a cause naturali o antropiche -ha affermato Marco Anzidei, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio – ha un ruolo cruciale nell’accelerare l’aumento del livello del mare lungo le coste, innescato dal riscaldamento globale a partire dal 1880”.
Concentrandosi sul bacino del Mediterraneo caratterizzato da tassi spazialmente variabili di movimenti verticali del territorio (VLM) i ricercatori hanno utilizzato i dati geodetici provenienti da stazioni del sistema di navigazione satellitare globale continuo con serie temporali superiori a 4,5 anni nell’intervallo 1996-2023, appartenenti alle reti euro-mediterranee e situate entro 5 km dalla costa.
“Il Mediterraneo è caratterizzato da una forte variabilità dei movimenti verticali delle coste, che variano da zona a zona a causa dall’attività tettonica, vulcanica e antropica – ha dichiarato Enrico Serpelloni, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio – Per la nostra ricerca, condotta nell’ambito dei progetti SAVEMEDCOASTS, SAVEMEDCOASTS2 e Pianeta Dinamico abbiamo utilizzato i dati delle numerose stazioni geodetiche satellitari GNSS poste entro 5 km dal mare, con cui possiamo calcolare, con precisione millimetrica, le velocità di spostamento verticale del suolo”.
Alla luce di queste evidenze, il team di ricercatori ha ricalcolato le proiezioni sul livello del mare (SL) in 265 zone del Mediterraneo, anche in corrispondenza dei 51 mareografi delle reti di monitoraggio internazionali, includendo il VLM stimato nelle proiezioni rilasciate dal Gruppo Intergovernativo sul clima Cambiamenti (IPCC) nel Rapporto AR6.
I risultati mostrano che le proiezioni dell’IPCC sottostimano il futuro SL lungo le coste del Mediterraneo poiché gli effetti della tettonica e di altri fattori locali non sono stati adeguatamente considerati.
“Le nostre analisi mostrano che, proprio a causa della subsidenza – ha aggiunto Antonio Vecchio, ricercatore della Radboud Universiteit di Nimega e principale autore dello studio – in alcune zone del Mediterraneo il livello del mare sta aumentando a una velocità quasi tripla rispetto alle zone stabili.
Il confronto con le proiezioni dell’IPCC mostrano differenze massime di 1094 ± 103 mm e minime di −773 ± 106 mm, con un valore medio che supera di circa 80 mm quello dell’IPCC nei percorsi socio-economici condivisi di riferimento e nei diversi livelli di riscaldamento globale.
“L’aumento del livello del mare e la subsidenza implicano che circa 38.500 km2 di coste del Mediterraneo – di cui circa 19.000 km2 nel solo settore settentrionale del bacino – saranno presto più esposte al rischio di inondazione marina, con conseguenti maggiori impatti sull’ambiente, sulle attività umane e sulle infrastrutture -ha concluso Anzide – È quindi necessario intraprendere azioni concrete a sostegno delle popolazioni costiere che saranno sempre più vulnerabili all’aumento del livello marino e ai maggiori rischi a questo collegati entro la fine di questo secolo e oltre”.
Immagine: La Foce del fiume Ebro (Spagna). Fonte: NASA Earth Observatory