Secondo un nuovo Rapporto congiunto WWF-UNEP, il conflitto uomo-fauna selvatica, che insorge quando persone e animali entrano in contatto, si conclude spesso con l’uccisione degli animali per autodifesa, prevenzione o rappresaglia, e se non viene gestito in modo integrato e con la dovuta attenzione dai decisori politici si rischiano impatti non solo sulla conservazione della biodiversità, ma anche sul conseguimento di molti degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
Le uccisioni correlate ai conflitti uomo-fauna selvatica (HWC) colpiscono oltre il 75% delle specie di felini del mondo, così come molte altre specie di carnivori terrestri e marini come gli orsi polari e le foche monache del Mediterraneo, e anche grandi erbivori come gli elefanti.
A rivelarlo è il Rapporto congiunto di WWF International e UNEP dal titolo “A Future for All: the Need for Human-Wildlife Coexistence” (Un futuro per tutti: la necessità della convivenza uomo-fauna selvatica), pubblicato l’8 luglio 2021.
Secondo il Rapporto, frutto dei contributi di 155 esperti di 40 organizzazioni con sede in 27 Paesi, il conflitto uomo-fauna selvatica è sia un problema umanitario e di sviluppo che fonte di preoccupazione per la conservazione della biodiversità, colpendo i redditi di agricoltori, pastori, pescatori artigianali e popoli indigeni, in particolare quelli che vivono in condizioni di povertà e senza resilienza, entrando in competizione per l’accesso all’acqua e generando disuguaglianze, perché coloro che pagano il prezzo per vivere a stretto contatto con la fauna selvatica non ricevono alcun beneficio per questa coesistenza.
“Nel giro di una vita umana, abbiamo già assistito a cambiamenti straordinari e senza precedenti sul nostro Pianeta – ha affermato Margaret Kinnaird, a capo del Global Wildlife Practice presso WWF International – Le popolazioni di fauna selvatica globali sono diminuite in media del 68% dal 1970. Il conflitto uomo-fauna selvatica, in combinazione con altre minacce, ha portato a un significativo declino delle specie che un tempo erano abbondanti e le specie che sono naturalmente meno abbondanti sono state spinte sull’orlo dell’estinzione. A meno che non venga intrapresa un’azione urgente, questa tendenza devastante non farà che peggiorare, provocando impatti dannosi e, in alcuni casi, irreversibili sugli ecosistemi e sulla biodiversità”.
Il conflitto uomo-fauna selvatica – quando le lotte tra persone e animali che entrano in contatto – spesso porta le persone ad uccidere gli animali per autodifesa, o come prevenzione o rappresaglia, con il rischio di provocare l’estinzione delle specie.
Mentre le persone di tutto il mondo godono dei benefici di una fauna selvatica mantenuta i buona salute – componente essenziale per avere ecosistemi sani che ci consentono di sopravvivere, di avere cibo e mezzi di sussistenza – impatti catastrofici come lesioni e morte e la perdita di beni e mezzi di sussistenza mettono a dura prova coloro che vivono a contatto con fauna selvatica, spesso nelle nazioni in via di sviluppo ricche di biodiversità, i conflitti portano insicurezza finanziaria e cattiva salute fisica e mentale.
“Questo rapporto è un appello a porre in evidenza il problema del conflitto uomo-fauna selvatica e dargli l’attenzione che merita nei processi nazionali e internazionali – ha sottolineato a sua volta Susan Gardner, Direttrice della Divisione Ecosistemi dell’UNEP – È un invito all’adozione di approcci che identifichino e affrontino le cause più profonde che stanno alla base del conflitto, sviluppando soluzioni sistemiche con le comunità colpite, quali partecipanti attive e paritarie nel processo. Come dimostrato in molti dei casi di studio in questo rapporto, la coesistenza è possibile e raggiungibile“.
Tra gli esempi citati, la Kavango Zambezi Transfrontier Conservation Area nell’Africa meridionale, dove un approccio integrato alla gestione del conflitto uomo-fauna selvatica ha portato a una riduzione del 95% delle uccisioni di bestiame, con conseguente zero uccisioni di leoni per rappresaglia nel 2016 (quando almeno 17 erano stati uccisi nel 2012 e nel 2013), consentendo alle popolazioni di leoni precedentemente minacciate di riprendersi.
Ridurre il conflitto uomo-fauna selvatica in questo modo può portare a opportunità e benefici non solo per la biodiversità e le comunità colpite, ma per la società, lo sviluppo sostenibile, la produzione e l’economia globale in generale.
Eppure, nonostante sia così fortemente legato agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU al 2030, il conflitto uomo-fauna selvatica continua a essere trascurato dai responsabili politici.
“Se il conflitto uomo-fauna selvatica non viene affrontato adeguatamente dalla comunità internazionale, riteniamo che avrà un notevole impatto negativo sulla capacità dei Paesi di soddisfare la maggior parte degli OSS – ha concluso Kinnaird – Se il mondo deve avere la possibilità di rispettare la scadenza del 2030, il conflitto uomo-fauna selvatica deve essere esplicitamente incluso nei piani di attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, nonché al centro del nuovo quadro della Convenzione sulla biodiversità“.
Ricordiamo che la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Biodiversità (CBD-COP15) che si svolgerà a Kunming (Cina) dall’11 al 24 ottobre 2021, dopo il rinvio di un anno a causa della pandemia di Covid-19, dovrà definire il nuovo quadro programmatico per gli obiettivi di biodiversità 2021-2030.