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Foreste boreali in marcia verso la tundra a causa dei cambiamenti climatici

Foreste boreali in marcia verso la tundra a causa dei cambiamenti climatici

Nuovi Studi rivelano un fenomeno dal forte impatto climatico.

Nel film giapponese “Il trono di sangue”, trasposizione del “Macbeth” shakespeariano e presentato alla Mostra cinematografica di Venezia nel 1957, ma tuttora godibile come ogni pellicola di un grandissimo regista qual è stato Akira Kurosawa, il re usurpatore ed assassino Takeoki Washizu dal suo castello nelle nebbiose pendici vulcaniche del monte Fuji vede avanzare la foresta. In realtà, sono i soldati dell’esercito nemico che avanzano, proteggendosi con i rami. Ma Washizu, interpretato da un magistrale Toshiro Mifune, ormai ottenebrato dai rimorsi e sensi di colpa, intuisce che si sta avverando quanto gli era stato profetizzato dallo spirito della foresta, ovvero che la sua ascesa al trono e la sua invincibilità sarebbero durate fino a quando la foresta non si fosse mossa verso il suo castello. Comprende così che la sua sorte è ormai segnata e la memorabile scena finale, con le numerosissime frecce che si conficcano sul suo corpo e che tenta disperatamente di strappare, ne costituisce il drammatico epilogo.

Se la sete di potere è stata la causa della rovina di Washizu/Macbeth, il progredire della foresta boreale verso la tundra è il risultato dei cambiamenti climatici in corso, indotti essenzialmente dalle attività umane, come confermano la maggior parte degli scienziati.

Due nuovi studi, pubblicati quasi contemporaneamente nello scorso mese di febbraio, che hanno valutato gli ecosistemi della regione artica, notoriamente molto sensibili ai cambiamenti climatici, hanno indicato che la tundra del Nord America, dell’Europa e dell’Asia sarà sempre più invasa da boschi, non soltanto di aghifoglie, ma anche di latifoglie.

Il primo (Feng Song et. Al. “Evaluating observed and projected future climate changes for the Arctic using the Koppen – Trewartha climate classification”, Climate Dynamics, 2011, 1020-6, on line l’11 febbraio 2011) ha preso in esame 16 modelli climatici globali ad iniziare dal 1950 fino alla fine del XXI secolo, per predire che entro il 2099 la tundra a livello globale si ridurrebbe dal 33% al 44%, secondo Tundra del Continente Nord-Americano 9 scenari di aumento della temperatura tra i 3,1 °C e i 5,3 °C, in relazioni alle future emissioni di gas serra.
“La risposta della vegetazione solitamente è più lenta rispetto cambiamenti climatici – ha dichiarato in un comunicato stampa il Prof. Song Feng, Ricercatore presso la Lincoln’s School of Natural Resource dell’Università del Nebraska e principale autore dello studio – Le piante non hanno gambe, perciò occorre più tempo per la dispersione dei semi, la germinazione e la crescita delle piantine”.
I cambiamenti degli ecosistemi potrebbero avere ripercussioni sul clima, dal momento che “l’espansione forestale può amplificare il riscaldamento globale perché le nuove aree boschive possono ridurre la capacità di riflessione della superficie e, quindi, l’ulteriore riscaldamento della regione artica. Il restringimento della tundra e l’espansione della foresta può causare impatti all’habitat della fauna selvatica e alle popolazioni locali”, ha concluso Feng. I modelli utilizzati hanno convenuto che la tundra, comunque, scomparirebbe più velocemente nel Nord America, con la foresta boreale che coprirebbe la più gran parte della tundra del Canada settentrionale e dell’Alaska.

Mentre lo studio sopracitato indica i futuri scenari, un altro studio ha dimostrato che in Alaska gli ecosistemi si sono già spostati (Pieter S. A. Beck et. Al. “Changes in forest productivity across Alaska consistent with biome shift”, Ecology Letters, 21 febbraio 2011).
Combinando immagini satellitari e i dati relativi agli anelli degli alberi, gli scienziati del Wood Hole Research Center (WHRC) dell’Università dell’Alaska e di altri tre Istituti con sede in Alaska (School of Natural Resources and Agricultural Sciences) e Francia (il Panthéon Sorbonne Archéologie des Amériques e il Bureau of Land Management), hanno constatato un aumento della crescita della foresta boreale ai margini dell’attuale tundra e un rallentamento della crescita nella fascia più a sud.
“I risultati forniscono elementi di prova di uno spostamento dei biomi in risposta ai cambiamenti climatici e indicano che alcuni modelli ecosistemici possono mancare dei fondamentali cambiamenti che sono in atto nella regione circumpolare – ha affermato Pieter Beck, il principale autore dello studio – Mentre i risultati ottenuti sono in contrasto con alcuni recenti modelli revisionali di aumento della produttività della vegetazione ad alte latitudini, essi sono perfettamente in linea con le proiezioni a lungo termine dei modelli predittivi della vegetazione globale”.
Beck ha pure parlato di cambiamenti climatici che possono cambiare rapidamente la dinamica e la capacità stessa delle foreste boreali di migrare verso le attuali aree della tundra, rendendo assai più probabile la variazione di bioma in futuro.
“La maggior parte della gente non pensa che le foreste delle alte latitudini possano essere stressate dalla siccità, nel senso tradizionale del termine, ma la loro crescita è negativamente influenzata da masse d’aria calda e secca, che negli ultimi anni sono aumentate – ha aggiunto Scott Goetz, senior scientist al WHRC e co-autore dello studio – La ricerca presentata dimostra che questi eventi sono registrati sia dai satelliti che dall’ampiezza record degli anelli. Ovviamente, gli anelli degli alberi risalgono a ben oltre i 30 anni di osservazioni satellitari, ma i cambiamenti sono supportati non solo dall’analisi degli anelli, ma anche da quella isotopica del carbonio delle masse legnose”.

C’è da augurarsi, insomma, che il progredire verso Nord della foresta boreale, non sia la metafora dell’incapacità di questa generazione umana di gestire in modo sostenibile gli ecosistemi e che, per non aver conosciuto riguardi od ostacoli alla sua azione, non costringa le future generazioni ad espiarne le colpe.

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