Diritto e normativa Società

Corte di giustizia UE: Italia condannata per i ritardati pagamenti della PA

Era attesa, ma la condanna del nostro Paese da parte della Corte di giustizia europea per inadempienza agli obblighi comunitari è pur sempre un evento grave che colpisce anche l’immagine dell’Italia all’estero.

Non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni”: così si legge nella Sentenza emessa il 28 gennaio 2020 dalla Corte di Giustizia europea, riunita in Grande Sezione.

Era stata la Commissione UE a deferire il nostro Paese alla Corte nel dicembre 2017, dopo aver constatato che né la lettera di messa in mora del giugno 2014, né il parere motivato del febbraio 2017 indirizzati all’Italia avevano avuto risposte adeguate.

Alla Commissione UE si erano rivolti operatori economici e associazioni di operatori economici italiani per i tempi eccessivamente lunghi con cui sistematicamente le pubbliche amministrazioni italiane saldano le proprie fatture relative a transazioni commerciali con operatori privati, nonostante la Direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali preveda che nel caso il debitore sia una Pubblica Amministrazione il periodo di pagamento non superi i 30 giorni o i 60 giorni a seconda dei casi.

Al momento del deferimento le Amministrazioni Pubbliche italiane necessitavano ancora mediamente di 100 giorni per saldare le proprie fatture, con picchi che potevano essere nettamente superiori.

L’Italia si era difesa sostenendo che la Direttiva 2011/7 impone unicamente agli Stati membri di garantire, nella loro normativa di recepimento (per il nostro Paese il D.lgs. n. 192/2012 ), che nei contratti  relativi a transazioni commerciali in cui il debitore è una delle loro Pubbliche Amministrazioni i termini massimi di pagamento conformi a detta Direttiva, nonché di prevedere il diritto dei creditori, in caso di mancato rispetto di tali termini, a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero, ma non obbliga di garantirne l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza, dei suddetti termini da parte delle loro Pubbliche Amministrazioni.

Tali argomentazioni sono state respinte dalla Corte di Lussemburgo, affermando che la Direttiva impone altresì agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle loro Pubbliche Amministrazioni, dei termini di pagamento da essa previsti.

I giudici hanno segnatamente rilevato che, in considerazione dell’elevato volume di transazioni commerciali in cui le Pubbliche Amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché dei costi e delle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento da parte di tali Amministrazioni, il legislatore dell’Unione ha inteso imporre agli Stati membri obblighi rafforzati per quanto riguarda le transazioni tra imprese e Pubbliche Amministrazioni.

I giudici hanno poi respinto l’argomento dell’Italia secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono far sorgere la responsabilità dello Stato membro cui appartengono quando agiscono nell’ambito di una transazione commerciale (jure privatorum), al di fuori delle loro prerogative dei pubblici poteri, poiché una simile interpretazione finirebbe con il privare di effetto utile la Direttiva stessa, in particolare la parte relativa all’obbligo imposto agli Stati membri di assicurare l’effettivo rispetto dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una Pubblica Amministrazione.

Infine, la Corte di giustizia ha sottolineato che la circostanza, quand’anche accertata, che la situazione relativa ai ritardi di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni sia in via di miglioramento in questi ultimi anni non può impedire la dichiarazione di inadempienza, che deve essere valutata alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato.

Se, nonostante la sentenza, l’Italia non riuscisse a conformarsi, la Commissione UE potrebbe nuovamente deferirla alla Corte di giustizia europea, proponendo sanzioni pecuniarie consistenti in una somma forfetaria e in una penalità di mora, adeguate alla gravità e alla persistenza dell’inadempimento, secondo la Comunicazione 2019/1396 di “Modifica del metodo di calcolo delle somme forfettarie e delle penalità giornaliere alla Corte di giustizia dell’Unione europea”.

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