Circular economy Sostenibilità

Circular Economy Report 2021: l’economia circolare conviene

La II edizione del Circular Economy Report dell’Energy&Strategy Group del POLIMI evidenzia come l’economia circolare applicata ai settori industriali potrebbe generare al 2030 circa 100 miliardi all’anno, ma meno della metà attualmente ha intrapreso il percorso di transizione, anche se in alcuni settori si assiste ad una maggiore propensione ad introdurre pratiche di circolarità.

Se venissero adottate pratiche manageriali per l’economia circolare nell’industria italiana si genererebbero al 2030 circa 100 miliardi di euro annui, quasi il 4,5% del PIL nazionale al 2019, invece meno di 1 impresa italiana su 2 ha fatto propria la sfida della circular economy e ancora non è nemmeno a metà del percorso di trasformazione. Tuttavia crescono le imprese virtuose (44%) rispetto a quelle che non hanno adottato criteri di circolarità e non intendono farlo in futuro, ferme al 34%.

È quanto emerge dal “Circular Economy Report 2021” dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, giunto alla sua II edizione e presentato in presenza e in streaming il 2 dicembre 2021, che analizza alcuni dei principali trend che stanno ridisegnando il mondo delle imprese verso la cosiddetta transizione circolare come nuovo modello di crescita rigenerativa, e che riporta i dati di una indagine condotta sugli  operatori di 6 macrosettori rilevanti per l’economia italiana: costruzioni, automotive, impiantistica, food&beverage, elettronica di consumo, mobili e arredo.

L’economia circolare è altra cosa rispetto allo sviluppo sostenibile e alla rispondenza ai criteri ESG, anche se spesso li si confonde – ha spiegato il Direttore dell’Osservatorio sulla Circular Economy dell’E&S Group, Davide Chiaroni che ha presentato il report – L’economia circolare è una prospettiva complessa perché richiede un ripensamento dell’intero ecosistema di filiera, ma rappresenta una grande opportunità per realizzare nuovi investimenti, perché include una serie di comportamenti che limitano i rischi: di mercato, operativi, di business e legali. Per sintetizzare, non tutto ciò che è sostenibile è circolare, ma tutto ciò che è circolare ha un impatto positivo sulla sostenibilità

In altri casi, il concetto di economia circolare si riduce alle pratiche di riciclo e di gestione dei rifiuti, in particolar modo urbani, come accade con il PNRR al cui interno sono previsti 5,27 miliardi di euro di investimenti (escludendo i 2,8 destinati alla sostenibilità della filiera alimentare, diventano 2,47) per realizzare nuovi impianti di trattamento dei rifiuti e ammodernare quelli esistenti (1,5 miliardi), per raggiungere gli obiettivi previsti dalla normativa europea e nazionale.

Non è certo la direzione verso la quale auspicavamo ci si muovesse, perché di nuovo riduce tutto al tema del riciclo – ha commentato Chiaroni – Ci sono però alcuni aspetti positivi, almeno nelle previsioni di riforma entro giugno 2022 che dovrebbero integrare concetti quali ecodesign, ecoprodotti, blue economy, bioeconomia, materie prime critiche”.

L’aggiornamento della “Strategia nazionale per l’economia circolare” è stato inserito tra le riforme a supporto degli investimenti del PNRR per l’Economia circolare, sulle cui linee programmatiche il MiTE ha avviato una Consultazione che si è conclusa il 30 novembre 2021.  

Sulla base dell’indagine condotta sui 6 settori presi in esame per valutare lo stato di adozione delle pratiche manageriali circolari, dei loro impatti, delle principali iniziative implementate e di ciò che le favorisce o le ostacola, al primo posto troviamo il settore delle costruzioni, con il 60% del campione che ha introdotto almeno una pratica di economia circolare, seguito da food&beverage (50%), automotive (43%), impiantistica (41%), elettronica di consumo (36%), mobili e arredo (23%). In media, il 44% degli intervistati, poco meno di 1 azienda su 2, il 40% di chi non l’ha ancora fatto ha intenzione di porvi rimedio in futuro, mentre gli irriducibili rappresentano il 34%, quindi molto meno del 44% degli adopters, che sono in genere imprese di dimensioni maggiori, sia per fatturato che per dipendenti, e partecipano (in misura di un terzo) a gruppi di lavoro, tavoli istituzionali, associazioni di categoria ed ecosistemi di simbiosi industriale che rinforzano le attività sull’economia circolare, dimostrando l’importanza del commitment dell’azienda. Se si chiede tuttavia alle imprese di valutare il livello raggiunto nella transizione verso l’economia circolare, il punteggio medio è pari a 2,02 su una scala da 1 a 5, dunque una fase ancora iniziale.

Nell’ipotesi di mantenere la stessa dimensione del mercato del 2019, sulla base di analisi e studi di settore, il report calcola che l’adozione di pratiche manageriali per l’economia circolare nei sei macrosettori presi in esame potrebbe, agendo sui costi, potrebbe liberare al 2030 un potenziale economico di 98,9 miliardi di euro annui, in particolare 37 nelle costruzioni, 20,2 nel food&beverage e 18,2 nell’automotive. [la progettazione Rispetto all’adozione di ciascuna pratica manageriale, il contributo maggiore può derivare dal Take Back System [schemi di restituzione degli imballaggi] (circa 24,7 miliardi di euro di risparmio), dal Design for Remanufacturing/Reuse [la progettazione per la rifrabbricazione e riuso dei prodotti] e dal Design for Disassembly [la progettazione per lo smontaggio] (circa 19,8 miliardi di euro ciascuno).

Le aziende si stanno quindi concentrando sulle fasi di progettazione dei prodotti per ridurre l’impatto ambientale e riutilizzare i materiali all’interno dei propri sistemi produttivi. Solamente il 23% del campione partecipa a un ecosistema di simbiosi industriale per massimizzare il riutilizzo di risorse normalmente considerate rifiuti e ottiene benefici in termini di risparmio di materiali di scarto (83% dei casi) e di CO2 prodotta (50%). Il 29% effettua campagne di comunicazione o promozione delle proprie attività di circular economy ed altrettante dicono di pensarci per il futuro. 

Nel periodo 2016-2019, per gli adopters la crescita media del fatturato è stata del 6%, di poco inferiore a quella dei non adopters (7%); di contro, i primi hanno registrato una crescita media più mercata dell’EBITDA, 8% contro 5%: ciò dimostra che l’introduzione di pratiche manageriali per l’economia circolare, pur caratterizzate da alti costi di investimento, ha generato un beneficio anche economico per le imprese.

Normalmente i vantaggi riconosciuti sono legati al tasso di innovazione, al rafforzamento dell’immagine del brand e alla riduzione dell’uso di risorse, mentre ancora non sono apprezzabili i benefici che derivano dalla riduzione dei costi di produzione. Al contrario, le barriere principali all’adozione sono rappresentate dall’incertezza normativa, dagli elevati investimenti e dalla relativa variabilità dei flussi di risorse (ridotta quantità di prodotti che ritornano all’impresa tramite Reverse Supply Chain), mentre le soluzioni tecnologiche sono ritenute adeguate, benché costose”.

Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.