Presentate al World Economic Forum di Davos le conclusioni dello Studio decennale sugli indicatori dei confini planetari, che indicano come la grande accelerazione delle attività umane che ha modificato il Sistema Terra sarebbe avvenuta non già a partire dalla rivoluzione industriale attorno al 1750, ma dalla metà del secolo scorso.
Ma gli amministratori delegati delle grandi imprese non ritengono che i cambiamenti climatici debbano costituire una priorità per i Governi.
Al World Economic Forum di Davos, Johan Rockström, Direttore esecutivo di Stockholm Resilience Centre (SRC), centro di ricerca internazionale che si concentra sulla capacità di un ecosistema a far fronte a perturbazioni quali i cambiamenti climatici o shock economici e per ricostruire e continuare a svilupparsi, ha presentato i risultati aggiornati dell’International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP) sugli indicatori globali che definiscono i “confini planetari” (Planetary Boundaries), ovvero le condizioni del pianeta che non dovrebbero essere superate per evitare i rischi di cambiamenti ambientali catastrofici.
“La Terra è ora in una nuova quantificabile condizione. Dei 9 confini che abbiamo identificato, la Terra ne ha ormai oltrepassati 4, compresi i 2 confini principali: il cambiamento climatico e l’integrità della biosfera – ha dichiarato Rockström – Ciò vuol dire che l’obiettivo posto dai Paesi di concordare a Parigi alla fine di quest’anno le misure per contenere entro i 2 °C il riscaldamento globale comporta rischi significativi. Non si può escludere che la Terra oltrepassi i punti di non ritorno quali, per esempio, uno scioglimento delle grandi calotte di ghiaccio in Groenlandia e in Antartide, che potrebbe determinare un drammatico innalzamento del livello dei mari nei prossimi secoli. Fortunatamente, abbiamo raggiunto un punto di svolta anche in termini di mobilitazione, poiché sono sempre più numerosi i politici, le imprese e le ONG che sostengono la necessità di azioni pronte e profonde per la decarbonizzazione dell’economia globale”.
Ci sembra che l’ottimismo di Rockström circa la consapevolezza delle imprese dei rischi connessi ai cambiamenti climatici in atto non trovi corrispondenza con quanto diffuso proprio a Davos dalla Società di consulenza PwC che nel “18th Annual Global CEO Survey – A marketplace without boundaries? Responding to disruption”, ha rilevato che solo il 6% degli oltre 1.300 amministratori delegati di grandi società di 77 diversi Paesi ritiene che il global warming debba costituire una delle maggiori priorità delle azioni dei Governi.
Lo Studio di aggiornamento sull’accelerazione dei 24 indicatori globali individuati nella prima sintesi del 2004, pubblicato sulla Rivista Anthropocene Review, indica chiaramente che l’attività umana è divenuto il principale driver del Sistema Terra (la somma dei processi antropici, fisici, chimici e biologici).
“È difficoltoso sopravvalutare la portata e la velocità del cambiamento – ha dichiarato il Prof. Will Steffen, dell’Australian National University e ricercatore dello Stockholm Resilience Centre, che ha coordinato il Programma comune IGBP – SRC e principale autore dello studio – Nel giro di una vita, l’umanità è diventata una forza geologica a scala planetaria”.
Dei 24 indicatori (Planetary Dashboard), 12 descrivono l’attività umana, per esempio, la crescita economica (PIL), la popolazione, gli investimenti esteri diretti, il consumo di energia, le telecomunicazioni, il trasporto e l’utilizzo di acqua; 12 indicatori, a loro volta, mostrano le variazioni nelle principali componenti ambientali del Sistema Terra, per esempio, il ciclo del carbonio e la biodiversità. Questo nuovo “Planetary Dashboard”, affermano gli autori, mette in evidenza che le traiettorie della Terra e dello sviluppo umano sono ora strettamente legati.
“Quando abbiamo aggregato questi dataset, ci aspettavamo di vedere grandi cambiamenti, ma quello che ci ha sorpreso è stata la tempistica – ha continuato Steffen – Quasi tutti i grafici mostrano lo stesso modello: i cambiamenti più drammatici si sono verificati a partire dal 1950, da quando è iniziata la Grande accelerazione. Dopo il 1950 si può osservare che i grandi cambiamenti del Sistema Terra sono direttamente correlati in gran parte ai cambiamenti intervenuti nel sistema economico globale”.
Lo Studio mostra con forte evidenza che negli ultimi decenni i componenti chiave del Sistema Terra sono andati oltre la variabilità naturale degli ultimi 12 mila anni, un periodo che i geologi chiamano l’Olocene, iniziato alla fine dell’ultima era glaciale, che ha fornito la stabilità per lo sviluppo dell’agricoltura, con la fioritura alfine di comunità e città.
Le tendenze della grande accelerazione avvalorano l’ipotesi che la Terra sia entrata in una nuova era geologica, l’Antropocene, termine coniato dai ricercatori Paul Crutzen e Eugene Stoermer nell’articolo “The Anthropocene”, pubblicato su “Global Change Newsletter” nel 2000. Da allora, l’inizio dell’Antropocene è stato oggetto di polemiche fra geologi e scienziati di altre discipline, tant’è che il termine non è stato ancora formalizzato dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia. Alcuni sostengono che dovrebbe essere fatto risalire agli albori dell’agricoltura, a 10.000 anni fa, per cui il Neolitico ne sarebbe il candidato più probabile; mentre altri ritengono che sia iniziato propriamente con la rivoluzione industriale, intorno alla fine del 1700.
Nello Studio, invece, si afferma che “Di tutti i candidati per l’inizio dell’Antropocene, l’inizio della grande accelerazione è di gran lunga il più convincente dal punto di vista scientifico. Solo dalla metà del secolo scorso si evidenzia in modo chiaro i cambiamenti determinanti nello stato e nel funzionamento del Sistema Terra, che sono al di fuori del campo di variabilità dell’Olocene, ma guidate dalle attività umane anziché dalla variabilità naturale”.