Una nuova ricerca ha scoperto che le pupe delle farfalle (Pieride del navone) consumano più energia se l’autunno è più lungo e caldo, rendendole troppo deboli per emergere come farfalle in primavera. I risultati della ricerca, pur condotta in laboratorio, potrebbero suggerire che possano essere validi anche per altri lepidotteri e suggerire studi sugli effettivi impatti dei cambiamenti climatici sugli animali in letargo.
Ricercatori delle Università di Stoccolma, Oulu (Finlandia) e Greifswald (Germania) che hanno studiato con esperimenti di laboratorio i potenziali impatti dei cambiamenti climatici sulle farfalle, hanno scoperto che le crisalidi della Pieride del navone (Pieris napi) esposte a condizioni autunnali più miti e lunghe hanno meno probabilità di sopravvivere fino all’età adulta la primavera successiva.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati nello Studio “Longer and warmer prewinter periods reduce post-winter fitness in a diapausing insect”, apparso il 31 marzo 2022 su Functional Ecology, la rivista della British Ecological Society.
La Pieride del navone (in inglese Green-veined white), farfalla molto comune in Europa (in Italia assente solo in Sardegna) è osservabile da marzo a ottobre dal piano basale a quello montano su prati fioriti, zone incolte, praterie umide e argini di fiumi, e riconoscibile per il colore biancastro con striature grigio-verdastre in corrispondenza delle venature della parte inferiore dell’ala posteriore.
“Il cambiamento climatico sta rendendo gli autunni più caldi e duraturi, ed è stata questa specifica combinazione di condizioni che ha avuto il maggiore impatto sulle farfalle nel nostro studio – ha dichiarato Matthew Nielsen dell’Università di Oulu che ha condotto la ricerca presso il Dipartimento di Zoologia dell’Università di Stoccolma – Abbiamo dimostrato che le condizioni stressanti vissute in un periodo dell’anno possono avere conseguenze negative durature in altri periodi dell’anno, collegando i cambiamenti in una stagione alle conseguenze in altre“.
Tutti gli animali che entrano in una fase di letargo durante l’inverno sono particolarmente vulnerabili al riscaldamento delle temperature perché questo aumenta il loro tasso metabolico, facendo perdere loro energia più rapidamente.
“Anche se gli animali dormienti utilizzano meno energia degli animali attivi, ne usano di più quando fa più caldo e non possono mangiare per sostituire l’energia persa – ha spiegato il dottor Nielsen – È già stabilito che gli inverni più caldi sono in realtà peggiori per gli animali dormienti rispetto a quelli più freddi, e i nostri risultati mostrano che gli autunni più caldi sono potenzialmente ancora più pericolosi“.
Gli autori avvertono che l’aumento della mortalità primaverile che hanno osservato dopo condizioni autunnali più calde e più lunghe potrebbe quindi avere un grave impatto sull’abbondanza di Pieride del navone.
Nello studio, le farfalle sono state esposte a temperature fino a 25°C per un massimo di 16 settimane. Sebbene queste condizioni autunnali simulate sembrino estreme, gli autori affermano che queste temperature si verificano già nelle parti meridionali dell’areale delle farfalle (fino alla Spagna) e potrebbero verificarsi più a nord in futuri scenari di cambiamento climatico.
I ricercatori affermano anche che il periodo di dormienza di 16 settimane prima dell’inizio delle condizioni invernali non è irragionevole per questa specie di farfalla. Alcuni individui possono entrare in dormienza fino a due mesi prima rispetto ad altri che continuano a produrre una generazione aggiuntiva prima dell’inverno.
Nell’esperimento, i ricercatori hanno simulato varie condizioni autunnali in laboratorio posizionando gruppi da 8 a 11 crisalidi in camere mantenute a 15, 20 o 25 °C per 1-16 settimane. Hanno quindi sottoposto tutte le 459 crisalidi alle stesse condizioni invernali per 24 settimane.
Durante le condizioni autunnali simulate, i ricercatori hanno misurato quanto peso hanno perso le crisalidi e quanta energia hanno utilizzato. Infine, hanno verificato la sopravvivenza delle farfalle fino a quando non sono morte o sono emerse come adulti sani durante una primavera simulata.
Poiché lo studio è stato condotto in laboratorio e specificamente progettato per determinare i limiti della tolleranza delle farfalle a temperature più calde, i ricercatori riconoscono che ci sono alcune limitazioni ad applicare i risultati alle popolazioni in natura. Ad esempio, le condizioni simulate erano costanti anziché riflettere le variazioni stagionali e giornaliere naturali, anche se i ricercatori affermano che queste variazioni potrebbero intensificare ulteriormente i costi metabolici delle condizioni autunnali.
I ricercatori stanno intensificando i loro studi per esplorare gli impatti di un clima più caldo sulle farfalle in modo più dettagliato, esaminando gli effetti su più stagioni.
“Nel nostro studio abbiamo considerato solo la sopravvivenza fino all’età adulta, ma potrebbero esserci effetti ancora più negativi nel corso della vita di queste farfalle – ha concluso Nielsen – Ad esempio, sulla capacità di accoppiarsi o sul numero di uova deposte. Studiare come il riscaldamento autunnale e invernale intervenga sul risveglio primaverile sarà anche la chiave per comprendere gli effettivi impatti dei cambiamenti climatici sugli animali in letargo“.
In copertina: Pieride del navone (Foto di James Wainscoat su Unsplash)