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Pace: i giornali spiegano perché un Paese non è pacifico

Utilizzando i dati della la piattaforma (Gdelt) che raccoglie le notizie dei 163 Paesi monitorati dallo IEP per l’annuale report Indice Globale di Pace, combinati con l’Intelligenza Artificiale, un gruppo di ricercatori di CNR-ISTI, Normale di Pisa e Università di Stoccolma ha trovato quali possono essere i fattori che caratterizzano un Paese pacifico.

L’Institute for Economics and Peace (IEP), think tank globale che sviluppa quadri concettuali per definire la pace e promuovere la comprensione dei fattori culturali, economici e politici che la guidano, ha prodotto il Global Peace Index (GPI) un indicatore che classifica i Paesi del mondo in base alla loro “pacificità”.

Secondo l’ultimo Rapporto GPI, pubblicato lo scorso giugno, che classifica 163 Paesi monitorati attraverso indagini istituzionali e governative,  Islanda, Nuova Zelanda e Danimarca sono i Paesi più pacifici, mentre Afghanistan, Yemen e Siria occupano che ultimi posti della classifica. L’Italia si colloca al 32° posto, avendo perso 3 posizioni rispetto alla precedente edizione.

Utilizzando i dati del “Global database of events location and tone” (Gdelt), una piattaforma supportata da Google che raccoglie notizie relative ai 163 Paesi monitorati, un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Scienze e Tecnologie dell’Informazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISTI), della Scuola Normale Superiore di Pisa e dell’Università di Stoccolma, che ha appena pubblicato sulla Rivista Epj Science Data lo Studio Understanding peace trough the world News”, ha dimostrato che i nuovi flussi di dati digitali, combinati con le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale (IA), possono aiutare a rendere queste misurazioni più economiche e frequenti e anche spiegare quali sono i fattori che caratterizzano un Paese pacifico.

Ad esempio, l’indice di pace per il Portogallo (4° posto nel GPI) è determinato principalmente dalle novità che riguardano la cooperazione economica, mentre quello del Pakistan (150° posto) è collegato a notizie riguardanti l’utilizzo di forze militari e carri armati. Per l’Italia valgono soprattutto news su aiuti umanitari, asili politici e disobbedienza alle leggi.

Se consideriamo che le spese militari indeboliscono sempre di più i Paesi già dilaniati dalla guerra, per i governi e la comunità internazionale è fondamentale prevedere tempestivamente i cambiamenti nello stato di pace e i fattori che lo stanno determinando – ha affermato Vasiliki Voukelatou, ricercatrice CNR-ISTI e principale autrice dello Studio – Il database Gdelt e strumenti di intelligenza artificiale possono contribuire a più frequenti stime dell’indice di pace globale e dei fattori che lo determinano come le proteste, i conflitti, l’utilizzo di forze armate, gli aiuti umanitari, le sanzioni amministrative e le attività diplomatiche“.

Secondo i ricercatori, lo studio può essere di supporto per decisori politici e stakeholder.
Questa ricerca – ha aggiunto Luca Pappalardo, ricercatore del CNR-ISTI e coordinatore dello studio – è un passo importante verso uno strumento che consente a ricercatori, a politici e alle società non governative come l’Onu di reagire tempestivamente alla situazione conflittuali di un Paese, attuando politiche adeguate a prevenire effetti negativi sulla società e contribuire efficacemente a una pace duratura”.

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