Alla vigilia dell’entrata in vigore dell’obbligo (1°gennaio 2022) di raccolta differenziata dei rifiuti tessili, un position paper del Laboratorio di Ref Ricerche analizza lo stato dell’arte della filiera, dalla raccolta alla gestione fino alla disamina degli strumenti necessari per arrivare a una circolarità del settore, a partire dall’introduzione di obblighi di responsabilità estesa del produttore (EPR).
Il nuovo Piano di azione per l’Economia Circolare prevede, tra l’altro la proposta di una Strategia globale europea per i tessili, volta a rafforzare la competitività industriale e l’innovazione, consolidare il mercato dell’UE per i prodotti tessili sostenibili e circolari, anche tramite il conseguimento di elevati livelli di raccolta differenziata dei rifiuti tessili, obbligatoria a partire dal 2025, secondo quanto previsto dalla Direttiva 2018/849/UE relativa al cosiddetto “Pacchetto economia. Il Governo italiano, recependo tale pacchetto ha anticipato l’obbligo di raccogliere separatamente tali rifiuti al 1° gennaio 2022.
L’impatto del tessile sull’ambiente non è trascurabile. Secondo un rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), il settore tessile occupa la quarta posizione tra i settori che utilizzano più materie prime e acqua dopo il settore alimentare, l’edilizia abitativa e i trasporti, e la quinta posizione per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra. La Fondazione Ellen MacArthur (EMF) ha stimato che meno dell’1 % di tutti i prodotti tessili nel mondo siano riciclati in nuovi prodotti.
Un Convegno nell’ambito dell’edizione digitale di Ecomondo 2020, a cura del Comitato Tecnico Scientifico di Ecomondo e di FISE Unicircular (Unione Imprese Economia Circolare), aveva posto il problema di un ripensamento complessivo del sistema attuale, sia per l’aumento dei quantitativi che per l’esigenza di affrontare il tema dell’ecoprogettazione delle fibre e del difficile riciclo chimico delle fibre sintetiche, utilizzate in modo sempre più diffuso.
Anche Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende dei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas, sulla base degli incrementi degli indumenti usati raccolti in modo differenziato e della crescente necessità da parte del sistema di assorbire nuovi flussi, e di conseguenza una maggiore capacità organizzativa non solo delle imprese della raccolta, ma di tutta la filiera, aveva approntato delle Linee guida con l’obiettivo di porre l’attenzione sull’importanza di alcuni aspetti e offrire indicazioni per gli operatori.
Tuttavia, la sensazione è che non si sia fino in fondo preparati al salto di qualità, sia dal versante dei gestori della raccolta, in particolare per il caso di operatori non industriali, sia da quello delle aziende manifatturiere.
Ora un puntuale position paper (qui disponibile previa registrazione) del Laboratorio Servizi Pubblici Locali di Ref Ricerche, Società indipendente che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali, pubblicato il 9 novembre 2021 si sofferma sullo stato dell’arte della filiera dei rifiuti tessili, dalla raccolta alla gestione fino alla disamina degli strumenti necessari per arrivare a una circolarità del settore, a partire dall’introduzione di obblighi di responsabilità estesa del produttore (EPR).
“Senza l’implementazione di buone policy, la circolarità dell’industria tessile rischia di rimanere solo un auspicio o, bene che vada, un bicchiere mezzo pieno – sottolineano i ricercatori (Donato Berardi, Antonio Pergolizzi, Nicolò Valle) – Occorrono interventi mirati e ponderati, affinché lo spostamento verso la circolarità non sia una fuga in avanti di pochi e coraggiosi imprenditori, ma un processo graduale e sicuro capace di coinvolgere l’intero settore. Servono buone politiche ma serve soprattutto cambiare approccio, allargando la visione all’intera filiera. Senza questi interventi, il rischio è di non invertire la rotta rispetto alle criticità attuali, continuando a riciclare grazie all’impiego di manodopera a basso costo, soprattutto in India o in altri Paesi specializzati nella selezione e recupero”.
Per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti tessili, in Italia nel 2019 sono stati prodotti e intercettati circa 157,7 mila tonnellate di rifiuti urbani, stabilmente intorno allo 0,8/0,9% del totale dei rifiuti differenziati, ma in crescita del 22% rispetto ai volumi raccolti nei 2015.
Osservando le macroaree, il livello di intercettazione del rifiuto tessile è sostanzialmente allineato tra Nord (2,88 kg/ab/anno), Centro (2,95 Kg/ab/anno) e Sud (2,06 Kg/ab/anno), mentre emergono delle disomogeneità a livello regionale. Alcune realtà, come Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Marche hanno già superato la soglia dei 3 Kg/abitante/anno di rifiuto tessile raccolto in modo differenziato, mentre regioni come Valle d’Aosta, Basilicata sono vicine alla soglia dei 4 Kg, già superata dal virtuoso Trentino Alto-Adige. I dati dei territori fanalino di coda, come Umbria e Sicilia, che raccolgono in modo differenziato meno di 1 Kg per abitante, lasciano pensare, osservano i ricercatori, che in quelle regioni le raccolte differenziate del tessile non siano state in massima parte neanche avviate.
Inoltre, secondo le analisi merceologiche operate da ISPRA, il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili. Un dato che, se quantificato, porterebbe a circa 663mila tonnellate/anno di rifiuti tessili non riutilizzati o riciclati, una cifra 4,2 volte superiore ai rifiuti intercettati dalle raccolte differenziate e che dà l’idea del potenziale che si potrebbe attivare attraverso il canale della raccolta. In termini di impianti, ciò richiederebbe una capacità di trattamento dedicata, idealmente localizzata in prossimità delle aree di produzione, anche in considerazione delle vocazioni distrettuali dei territori.
Come fare per invertire la rotta anche nella prospettiva di un rapido aumento dei rifiuti tessili da gestire perché raccolti in modo differenziato?
Un importante punto di partenza è la definizione di una strategia sulla gestione dei rifiuti tessili, che dovrebbe giungere dal consolidamento delle pianificazioni settoriali, in particolare dal Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti (PNGR) e dalle pianificazioni regionali. Diversamente, il rischio è che il disegno sia affidato alle singole iniziative locali, dei Comuni e/o degli Enti d’ambito, senza alcun coordinamento, con il risultato di riproporre le note questioni circa l’inadeguatezza della scala impiantistica e del perimetro territoriale dei fabbisogni a cui si intende dare risposta: in un ambito nel quale, vista la consistenza dei flussi, le risposte non possono che essere di area vasta.
Per uscire dall’impasse, una delle strade più promettenti sulla quale sta lavorando la Commissione UE, e quindi il Ministero della Transizione Ecologica (MiTE), è quella dell’introduzione di obblighi di Responsabilità estesa del produttore (EPR). I produttori dovranno sostenere un contributo ambientale, trasferito nei prezzi d’acquisto dei prodotti, che avrà lo scopo di finanziare una filiera della raccolta tesa a rispettare la gerarchia dei rifiuti, quindi a privilegiare il riuso, a sostenere la preparazione per il riutilizzo e il riciclo. Compito di ogni schema di EPR è quello di rendere concreto il principio europeo del “chi inquina paga”, indirizzando la produzione e il consumo su forme progressivamente più sostenibili e che scoraggino il fenomeno del fast fashion. Allo stesso tempo, l’EPR dovrebbe servire a finanziare attività di ricerca e sviluppo, puntando sull’innovazione di processo e di prodotto, indirizzando verso tecnologie in grado di ovviare alle principali criticità presenti nel recupero, per esempio, promuovendo l’eco-design e disincentivando l’utilizzo delle fibre tessili più difficilmente recuperabili.
Ma non solo. Considerando che i rifiuti sono un aggregato di materie e sostanze non sempre omogenee e che la raccolta deve presentare la caratteristica della continuità, a qualunque condizione di mercato e per tutte le frazioni, occorrono adeguate correzioniaffinché le oscillazioni della domanda di prodotti riciclati rendano sempre sostenibile il costo della raccolta e dei trattamenti propedeutici al riutilizzo e al riciclaggio.
In generale, il contributo ambientale che accompagnerà i prodotti nel momento del loro ingresso nel mercato, che dovrebbe essere modulato sulla base dell’indice di sostenibilità del singolo prodotto, avrà non solo il compito di garantire la raccolta in ogni condizione, attenuando al minimo i contraccolpi delle dinamiche di mercato, ma allo stesso tempo dovrà orientare la produzione verso modelli più circolari, di fatto meno costosi.
Infatti, il segnale di prezzo fornito dal contributo ambientale dovrebbe orientare in ultimo anche le scelte dei consumatori. Mai come nel caso delle frazioni tessili l’ecodesign diventa strategico nel rendere possibile ed economicamente conveniente il riuso e il recupero di materia. Senza adeguati correttivi in fase di produzione si rischia solo di agevolare la raccolta differenziata, senza benefici per l’effettivo recupero.
Se poi il recupero di materie da frazioni non riutilizzabili è il vero mercato da costruire, allora sono necessari interventi di regolazione ad hoc, utili per accompagnare e sorreggere i nuovi modelli di business circolari.
Certamente il settore tessile in fatto di sinergie non parte da zero. Può vantare dalla sua di avere una innata vocazione distrettuale, considerato che più del 60% delle imprese sono situate in Toscana, Lombardia, Veneto e Piemonte. Questo vuol dire che nel nostro Paese si continua a produrre in loco, nonostante la delocalizzazione abbia prodotto i suoi effetti.
Il combinato disposto di questi due elementi potrebbe portare a una forte sinergia, laddove la produzione di scarti di settori diversi ma complementari potrebbe risolvere la cronica assenza di materie e prime allo stesso tempo ridurre i costi di gestione degli scarti. La costruzione di nuove simbiosi industriali capaci di generare valore in un settore dal disvalore di un altro, come nel caso dell’industria agroalimentare, dovrebbe essere la strada da seguire. Insomma, le filiere distrettuali italiane concentrate geograficamente risulterebbero un contesto ideale per sperimentare modelli di produzione circolare.
Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si presenta come una grande opportunità per rilanciare la filiera del recupero dei rifiuti tessili.
In particolare, in termini di risorse e di finalità, la linea di investimento 1.2 che guarda alla infrastrutturazione della raccolta delle frazioni di tessili pre-consumo e post consumo, ammodernamento dell’impiantistica e realizzazione di nuovi impianti di riciclo delle frazioni tessili in ottica sistemica (“Textile Hubs”) (vedi il Decreto n. 397 e relativo avviso per Progetti “faro” di economia circolare che promuovono l’utilizzo di tecnologie e processi ad alto contenuto innovativo nei settori produttivi, individuati nel Piano di azione europeo sull’economia circolare).
È evidente che se le risorse del PNRR saranno sicuramente utili per sostenere gli investimenti impiantistici, allo stesso tempo occorrerà essere consapevoli che il tema centrale è quello di sostenere gli extra costi del riciclo, ossia coprire quelle diseconomie che rendono ancora oggi più conveniente le filiere dei materiali vergini rispetto a quelle da riciclo.
Da ultimo, se le dinamiche di mercato tenderanno a guidare i flussi secondo logiche economiche, allo stesso tempo dovrà essere garantita una raccolta universale e capillare per non lasciare a terra frazioni prive di valore e garantire la miglior tutela ambientale. Mai come in questo settore è d’obbligo lavorare in rete, con l’obiettivo di ridurre al minimo i costi di transazione e di semplificare l’incontro tra domanda e offerta. Sfruttando una delle tante occasioni messe a disposizione dalla rivoluzione informatica, potrebbe contribuire a generare efficienza la creazione di piattaforme web che agevolino l’incontro tra produttori e utilizzatori di materie prime seconde (in ottica di simbiosi industriale) e l’implementazione di tecnologie digitali per la tracciabilità.
Altri quattro tasselli strategici, al fine di disporre di incentivi concreti all’impiego di materie prime secondarie, sono:
– l’accesso facilitato al credito, per chi decide di investire in attività innovative;
– l’introduzione di incentivi fiscali per le aziende che acquistano materiale tessile riciclato;
– l’introduzione di crediti di imposta per gli investimenti in tecnologie a basso impatto ambientale e in attività di ricerca e sviluppo;
– l’applicazione concreta del Green Public Procurement (GPP) con i relativi criteri ambientali minimi (CAM) resi teoricamente obbligatorii per tutte le stazioni appaltanti), prefigurando un’evoluzione verso il Circular Procurement.
“Siamo dunque di fronte a un quadro in movimento e che richiede al nostro Paese – il distretto tessile più grande d’Europa – una nuova visione, per cogliere i benefici delle politiche e intercettare i fondi disponibili per gli investimenti”.