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Zucchero: elevato consumo nell’infanzia correlato a problemi di memoria da adulti

Uno Studio di ricercatori statunitensi effettuato su topi ha trovato che l’assunzione di elevati livelli di zucchero durante i primi giorni di vita ha determinato scarsa memoria correlata alla funzione dell’ippocampo nella fase adulta, la cui vulnerabilità sarebbe associata al microbioma intestinale.

Le diete ad alto contenuto di zucchero sono state correlate ad effetti negativi sulla salute in termini di obesità, diabete, malattie cardiovascolari e persino su una ridotta funzione della memoria. Tant’è che le Linee Guida emesse dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ( raccomandano di ridurre a meno del 10% la quota di energia assunta attraverso ‘zuccheri liberi’ vale a dire zuccheri semplici o naturalmente presenti negli alimenti o aggiunti nella lavorazione o nella preparazione dei cibi.

Più recentemente, OMS-Europa ha condotto uno Studio in 4 Paesi (Austria, Israele, Bulgaria e Ungheria) da cui è emerso che in molti prodotti commercializzati come alimenti per bambini, sono stati osservati elevati livelli di zuccheri totali.

Tuttavia, si sa poco su come l’assunzione di elevati livelli di zucchero durante l’infanzia influenzi lo sviluppo del cervello, in particolare una regione nota per essere di fondamentale importanza per l’apprendimento e la memoria chiamata ippocampo.

Ora, lo StudioGut microbial taxa elevated by dietary sugar disrupt memory function” condotto da ricercatori statunitensi delle Università della Georgia e della California meridionale e pubblicato il 31 marzo su Translational Psychiatry, dimostrerebbe che il consumo quotidiano di bevande zuccherate durante l’infanzia e l’adolescenza alteri le funzioni della memoria durante l’età adulta.

Considerando il ruolo che l’ippocampo svolge in una varietà di funzioni cognitive e il fatto che l’area si stia ancora sviluppando nella tarda adolescenza, i ricercatori hanno cercato di capire di più sulla sua vulnerabilità a una dieta ricca di zuccheri tramite il microbiota intestinale.

Il modello utilizzato dagli scienziati è stato quello di permettere a giovani topi di assumere bevande zuccherate al 11%, paragonabile alla percentuale media delle bevande disponibili in commercio, mentre ad altri era data solo acqua.

Dopo circa un mese, allorché erano diventati adulti, i ricercatori hanno fatto eseguire ai topi un compito di memoria dipendente dall’ippocampo, progettato per misurare la memoria contestuale episodica o ricordare il contesto in cui avevano visto un oggetto familiare in precedenza.

Abbiamo scoperto che i topi che avena assunto zucchero nei primi giorni di vita avevano una ridotta capacità di discriminare che un oggetto era nuovo per un contesto specifico – ha affermato Emily Noble, Professoressa associata presso l’Università della Georgia (Stati Uniti) – Dipartimento di Scienze della Famiglia e del Consumatore e principale dello Studio – compito che viceversa i topi che non avevano assunto zucchero erano in grado di assolvere”.

Un secondo metodo ha testato la memoria del riconoscimento di base, ovvero la capacità degli animali di riconoscere qualcosa che avevano visto in precedenza, una funzione che non dipende dall’ippocampo, bensì da una parte del cervello chiamata corteccia peririnale. In questo caso lo zucchero non ha avuto alcun effetto sulla memoria degli animali.

Il consumo di zucchero nella prima infanzia – ha osservato Noble – sembra compromettere selettivamente l’apprendimento e la memoria ippocampale“.

Gli scienziati hanno quindi controllato il microbioma intestinale dei topi e hanno trovato differenze tra quelli che aveva assunto la bevanda zuccherata da quelli che avevano bevuto acqua. I primi avevano popolazioni più ampie di alcuni Parabacteroides. Per identificare meglio il meccanismo con cui i batteri hanno avuto un impatto sulla memoria e sull’apprendimento, i ricercatori hanno aumentato sperimentalmente i livelli di parabacteroides nel microbioma dei topi che non avevano mai consumato zucchero, rilevando deficit nei compiti di memoria sia dipendenti che indipendenti dall’ippocampo.

“È stato sorprendente – ha affermato Scott Kanoski, Professore associato di Scienze biologiche all’Università della California meridionale, autore senior dello studio che da anni si concentra sui legami tra dieta e funzione cerebrale – riuscire a replicare sostanzialmente il deterioramento della memoria associato al consumo di zucchero non trasferendo l’intero microbioma, ma semplicemente arricchendo una singola popolazione batterica intestinale”.

I risultati dello studio confermerebbero un collegamento diretto, a livello molecolare, tra il microbioma intestinale e le funzioni del cervello. Ora i ricercatori vorrebbero concentrare l’attenzione se cambiando abitudini alimentari ovvero seguire una dieta più sana sia possibile riparare il danno alla memoria causato da un elevato consumo di zucchero in gioventù.

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