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Marine litter: i numeri dei rifiuti da pesca e acquacoltura

I dati forniti da Legambiente nel corso di un Convegno svoltosi a ECOMONDO evidenziano l’impatto sull’ambiente marino provocato dal marine litter derivante dalle attività di pesca e acquacoltura, tra cui le calze per l’allevamento di mitili rappresentano il rifiuto più diffuso.   

Nel corso del Convegno “Marine litter e blue economy, impatti e soluzioni dal mondo della pesca e dell’acquacoltura”, svoltosi l’8 novembre 2019 a ECOMONDO (Fiera di Rimini, 5-8 novembre 2019), l’evento leader in Europa dedicato alla Green & Circular Economy, targato Italian Exibition Group (IEG), Legambiente ha presentato i numeri del rifiuti derivanti dalle attività di pesca e acquacoltura che si spiaggiano sulle coste d’Europa e, soprattutto, sui litorali italiani.

Obiettivo del Convegno, organizzato da Legambiente, Comitato scientifico di ECOMONDO, Associazione Mediterranea Acquacoltori, Bluemed, Corepla, Enea, IPPR e Clean Sea Life era di fare il punto della situazione e di confrontarsi sulle proposte e sulle politiche da attuare.

Sono oltre 11mila le tonnellate di rifiuti che ogni anno vengono recuperate lungo le coste europee e circa un terzo dei rifiuti in plastica rinvenuti sulle spiagge europee è rappresentato da attrezzi provenienti da attività di pesca e acquacoltura, persi o abbandonati che contribuiscono in maniera sempre più rilevante all’emergenza del marine litter.

E in Italia non va meglio: negli ultimi sei anni Legambiente ha monitorato nel corso dell’indagine Beach litter oltre 10mila retine per la coltivazione dei mitili, una media di 31 pezzi ogni 100 metri di arenile, con punte di presenza in alcune spiagge di oltre il 70% dei rifiuti complessivi. Purtroppo, quello presente sui nostri litorali è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più ampio, come testimoniano anche i numeri dei diversi progetti sperimentali di Fishing for litter realizzati negli ultimi anni, tra cui quello realizzato da Legambiente a Porto Garibaldi (Fe): l’80% dei rifiuti “pescati” in sei mesi è rappresentato da calze in plastica. Progetti che ora potrebbero trovare finalmente applicazione nella Legge “SalvaMare” che attende il via libera dal Senato. E se da un lato il settore della pesca e dell’acquacoltura sono responsabili di questo fenomeno, dall’altro subiscono, a loro volta, l’impatto dai rifiuti dispersi nell’ambiente marino.

Se ridurre e riciclare deve essere la priorità, sia per prevenire nuovi apporti di rifiuti in mare che per rendere più gestibile il problema dei rifiuti a terra, oggi è possibile anche approfittare del lavoro quotidiano dei pescatori per rimuovere parte di rifiuti che sono già dispersi nell’ambiente marino, specialmente sui fondali (il 70% dei rifiuti che entrano nell’ecosistema marino affondano). Per farlo però è necessario mettere i pescatori nelle condizioni di riportare a terra i rifiuti che pescano accidentalmente, agevolando il conferimento e soprattutto evitando di sanzionarli per un’attività che, ad oggi, non è normata dalle leggi italiane.

Auspichiamo una rapida approvazione anche in Senato del disegno di legge ‘SalvaMare’ – ha dichiarato Stefano Ciafani, Presidente di Legambiente – Si tratta sicuramente di un primo tassello importante, ma che da solo non basta per contrastare l’inquinamento dai rifiuti che colpisce pesantemente il mare, una sfida mondiale a cui l’Italia sta dando il proprio contributo anticipando spesso gli altri Paesi europei. Ad oggi, ad esempio, non c’è ancora nessun controllo o regolamentazione della gestione a fine vita delle calze da mitilicoltura e mancano molto spesso i siti di stoccaggio nei porti oltre a procedure ben definite di riciclo. L’Italia ha un’occasione unica per dare un contributo concreto allo sviluppo della blue economy, un modello di business sostenibile capace di generare un impatto positivo e di lungo termine soprattutto sulla salute dei nostri oceani e sullo stesso impatto economico del settore. La stessa direttiva europea sul monouso prevede la responsabilità estesa dei produttori degli attrezzi da pesca che ci auguriamo venga applicata anche in Italia, oltre a controlli accurati sul rientro a terra delle retine usate per evitarne l’abbandono in mare”.

L’incontro a cui ha partecipato un panel di specialisti, ha evidenziato come dai territori arrivino già sperimentazioni o azioni di mitigazioni interessanti che vanno incoraggiate, come la filiera virtuosa di recupero adottata dai mitilicoltori spezzini, coinvolti anche nelle e le ricerche attivate dall’Università di Siena e Novamont per la produzione e l’impiego di retine biodegradabili e compostabili.

L’efficacia del fishing for litter è dimostrata da alcuni progetti sperimentali, come quello condotto da Legambiente Emilia-Romagna a Porto Garibaldi (Fe), dove i pescatori – nell’arco di sei mesi – hanno portato a terra oltre tre tonnellate di rifiuti, per un totale di 26.112 rifiuti censiti: l’80% dei rifiuti raccolti è rappresentato da calze in plastica per l’allevamento delle cozze, per un totale di oltre 20mila retine. Ma sono diverse le sperimentazioni attive in tutta Italia su questo fronte grazie anche al contributo di Legambiente: attività che hanno permesso non solo di ripulire i nostri fondali, ma di raccogliere dati importanti per lo studio del fenomeno.

Secondo gli studi condotti nell’ambito del progetto DeFishGear sul marine litter presente nel Mare Adriatico e che considera tutti i Paesi che vi si affacciano, le reti per mitili abbondante (8,4%) registrato nei monitoraggi effettuati sul fondale marino, con una densità pari a 49 calze su chilometro quadrato. Sul territorio italiano, la densità registrata è stata particolarmente alta, pari a 73 calze ogni chilometro quadrato di fondale.

Infine, c’è da segnalare il progetto  Clean Sea Life, cofinanziato dalla Commissione UEnell’ambito del programma LIFE (che vede come capofila il Parco Nazionale dell’Asinara con i partner CoNISMa, Fondazione Cetacea, Legambiente, MedSharks e MPNetwork) grazie al quale dal 2016 si stanno portando avanti azioni di sensibilizzazione e la diffusione di buone pratiche di gestione fra gli operatori e le autorità locali, regionali e nazionali per contrastare l’accumulo dei rifiuti marini lungo le coste italiane, che tra le varie attività prevede proprio la “pesca di rifiuti”. Soltanto durante le prime quattro giornate di sperimentazione, svolte tra giugno e luglio 2018 nei porti di Porto Torres, Rimini, San Benedetto del Tronto e Manfredonia, è stato possibile coinvolgere 34 pescherecci e recuperare 1.534 kg di rifiuti, in gran parte plastica. Nelle reti a strascico sono stati rinvenuti attrezzi da pesca, copertoni, bottiglie, sacchetti, teli e stoviglie di plastica, tubi, boe, secchi di vernice e una quantità notevole di retine per mitilicoltura. A Manfredonia, in particolare, sono state pescate 390 chili di retine, circa il 75% del totale dei rifiuti raccolti.

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