Consumi e risparmio Diritto e normativa Risorse e rifiuti

Bioshopper ultraleggeri: un po’ di chiarezza nella polemica

bioshopper-ultraleggeri

Il “polverone” mediatico sollevatosi per l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2018 del pagamento dei bioshopper, rischia di mettere in secondo piano le motivazioni di una scelta del tutto autonoma dell’Italia, tirando in ballo “imposizioni” dell’Unione europea.

Con il pacchetto di infrazioni adottato nel giugno 2017, la Commissione UE con un parere motivato (l’anticamera del deferimento alla Corte di giustizia europea) invitava l’Italia a trasporre nella legislazione nazionale la Direttiva 720/2015/UE relativa alla riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, che gli Stati erano tenuti ad adottare entro il 27 novembre 2016.

Ci siamo compiaciuti negli ultimi anni per essere stati i primi ad aver introdotto una legge che pone limiti molto stringenti alla vendita delle borse monouso di plastica leggera per la spesa (Legge 28/2012), e per aver costituito il punto di riferimento per la successiva normativa comunitaria che si è concretizzata nella suddetta Direttiva, scoprendo che non l’avevamo ancora recepita nel nostro ordinamento nazionale.

Così, per evitare il deferimento alla Corte di Giustizia europea, il occasione della conversione in Legge del D. L. “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno” che conteneva l’articolo 9 “Misure urgenti ambientali in materia di classificazione dei rifiuti”, intervenendo peraltro, forse in modo frettoloso sul tema controverso della classificazione dei rifiuti (la Corte di Cassazione ha richiesto l’intervento della Corte di Giustizia europea per vagliarne la correttezza), sul testo del D. Lgs. n. 152/2006 (il cosiddetto “Testo Unico Ambientale“), chiarendo di fatto che alla classificazione dei rifiuti è tenuto il produttore, un emendamento aggiungeva altre misure di carattere ambientali, tra cui l’Art. 9-bis “Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Procedura d’infrazione n. 2017/0127“.

A partire dal 1° gennaio 2018, che siano con o senza manici, anche i sacchi leggeri e ultraleggeri (ossia con spessore della singola parete inferiore a 15 micron) utilizzati per il trasporto di merci e prodotti, a fini di igiene o come imballaggio primario in gastronomia, macelleria, pescheria, orto-frutta e panetteria, dovranno:

essere biodegradabili e compostabili secondo la norma UNI EN 13432 ovvero essere realizzati con un contenuto di materia prima rinnovabile di almeno il 40% (che dovrà diventare il 50% a partire dal 1° gennaio 2020 e il 60% dal 1° gennaio 2021);

disporre dell’idoneità per uso alimentare;
essere cedute esclusivamente a pagamento. (“comma 5. Le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite”). In caso di inadempienze per i venditori l’obbligo si estende dalla grande distribuzione ai piccoli negozi – sono previste multe salate che vanno da 2.500 a un massimo di 25.000 euro.

Vuoi per il periodo estivo, vuoi per l’inveterata e inopportuna prassi di infilare nei testi legislativi norme che non attengono al titolo e all’argomento del provvedimento, la decisione di far pagare i sacchetti ultraleggeri è passata in sordina fino al giorno in cui la norma è entrata in vigore, scatenando inusitate polemiche, anche per effetto del clima elettorale del momento.

Fermo restando che tale norma è volta a reprimere la pratica illegale di diciture quali “sacchetti a uso interno” messa in atto per eludere la legge sugli shopper e che tanti danni ha provocato all’ambiente, ai retailer onesti e alla filiera dei produttori e trasformatori di biopolimeri, senza voler entrare nel merito del provvedimento, vogliamo tuttavia precisare che il pagamento del bioshopper ultraleggero, come ha fatto l’Italia, è una delle opzioni previste dalla Direttiva, ma non viene imposta dall’UE su cui troppe volte viene scaricata la responsabilità per decisioni assunte autonomamente dai singoli Paesi.

Le misure che devono essere adottate dagli Stati membri – si legge nelle premesse della Direttiva – possono prevedere l’uso di strumenti economici come la fissazione del prezzo, imposte e prelievi, che si sono dimostrati particolarmente efficaci nella riduzione dell’utilizzo di borse di plastica, e di restrizioni alla commercializzazione […]

Tali misure possono variare in funzione dell’impatto ambientale che le borse di plastica in materiale leggero hanno quando sono recuperate o smaltite, delle loro proprietà di riciclaggio e compostaggio, della loro durata o dell’uso specifico previsto, nonché in considerazione di eventuali effetti nocivi di sostituzione [..]

Gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron (borse di plastica in materiale ultraleggero» fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi ove necessario per scopi igienici oppure se il loro uso previene la produzione di rifiuti alimentari. […]

Gli Stati membri possono utilizzare liberamente i proventi generati dalle misure adottate in virtù della direttiva 94/62/CE allo scopo di realizzare una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero”.

Che poi non ci sia stata un’adeguata e corretta “informazione agli utenti degli imballaggi ed in particolare ai consumatori”, come prevede il comma 2 lettera (c del Decreto, è tutta un’altra storia. Tant’è che solo il 4 gennaio 2018 sul sito del Ministero dell’Ambiente è stata pubblicata una Circolare interpretativa che non chiarisce sulla possibilità che la GDO dia ai cittadini un’alternativa, rinviando ad una interpretazione del Ministero della Salute per gli aspetti igienico-sanitari.

Rimane incomprensibile, tuttavia, il motivo per cui non possano essere utilizzate le retine di plastica, un tempo assai diffuse per la spesa orto-frutticola.
Non è il riuso che nella gerarchia della gestione dei rifiuti viene subito dopo la prevenzione?

Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.