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Giustizia sociale in Europa: l’Italia è agli ultimi posti

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Il 4° Rapporto “Social Justice in the EU. Index Report 2017” indica che nonostante qualche timido miglioramento, in Europa i livelli di benessere e giustizia sociale non solo sono ben lontani da quelli pre crisi del 2007, ma le differenze tra nord e sud sono profonde e tendono ad acuirsi, come dimostra il caso del nostro Paese che retrocede di una posizione (25° posto) con la performance più negativa nella dimensione Giustizia intergenerazionale (26°).

La Fondazione Bertelsmann ha pubblicato a fine novembre 2017 il 4° “Social Justice in the EU. Index Report 2017”. Come per gli anni precedenti, il Rapporto si basa sulla misurazione del Social Justice Index, un indice composto da 6 dimensioni a cui sono attribuiti punteggi e pesi differenti in base alla loro centralità e importanza e misurate con numerosi indicatori qualitativi e quantitativi, che contribuiscono a offrire una visione complessiva della situazione della giustizia sociale nell’Unione Europea.

Le dimensioni riguardano:

1) prevenzione della povertà;
2) equità nell’istruzione;
3) accesso al mercato del lavoro;
4) coesione sociale e non-discriminazione;
5) salute;
6) giustizia intergenerazionale.

Nonostante il miglioramento complessivo, nessun Paese dell’UE è tornato ai livelli di benessere e giustizia sociale precedenti il 2007 quando è iniziata la crisi finanziaria, confermando che in Europa, le differenze sono profonde e si sono acuite tra Nord e Sud.

I Paesi scandinavi si confermano sul podio, anche se rispetto alla precedente edizione è la Danimarca a conquistare il 1° a scapito della Svezia (2° posto), mentre la Finlandia si conferma al 3° posto, Paesi questi ultimi che hanno comunque denunciato un peggioramento rispetto all’anno passato.

L’Italia continua ad essere tra le peggiori, collocandosi al 25° posto (ha perso una posizione rispetto allo scorso anno), al di sopra solo di Bulgaria, Romania e Grecia.

Siamo tra le ultime dieci nazioni in tutte le dimensioni: meno peggio in sanità (19° posto), anche se rispetto alle precedenti edizioni si è assistito ad un peggioramento: “ (…) i servizi sono generalmente migliori nell’Italia settentrionale e centrale che nel sud Italia. (…) In queste regioni, i livelli di qualità inferiori e in genere
liste di attesa più lunghe significano che gli individui più ricchi spesso si rivolgono al settore privato per l’assistenza medica (…) Costi esagerati per l’accesso all’assistenza sanitaria, sebbene siano inversamente correlati al reddito scoraggiano alcuni dei più poveri dall’accedere a servizi sanitari necessari
”.

La performance peggiore del nostro Paese è nella Giustizia intergenerazionale (26 ° posto).
A parte le scarse prospettive per i giovani sul mercato del lavoro (il 37,8% dei giovani era disoccupato nel 2016), l’Italia è demograficamente il Paese più ‘vecchio’ dell’UE e ha pure il secondo debito pubblico più elevato (132,6% del PIL nel 2016).

Gli oneri fiscali per i giovani di oggi e per le generazioni future sono così immensi. Il miglioramento del clima sui mercati internazionali e le politiche della BCE hanno prodotto un forte calo dei tassi di interesse per i buoni del tesoro italiani a lungo termine.

Ciò ha allentato le pressioni di bilancio del Paese. Verso la fine del 2014, la recessione si è conclusa e la modesta crescita economica è tornata nel 2015 e nel 2016, rallentando la crescita del debito pubblico. Al contempo, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono rimasti troppo bassi (1,3% del PIL in 2015, l’ultimo anno di cui si sono utilizzati i dati, contro il 2% della media UE).

Il Governo Renzi non è stato in grado di fare molti progressi in questo senso, tenuto conto del ristretto contesto di bilancio. Nonostante i reclami delle università che sono assai modestamente sovvenzionate rispetto a quelle degli altri Paesi europei, i finanziamenti pubblici per Università e R & S non sono aumentati, sebbene siano state introdotte alcune misure per incoraggiare le start-up e sostenere gli investimenti nell’innovazione tecnologica.

Anche nell’attuale situazione finanziaria dello Stato, tali investimenti rimangono vitali per la futura crescita economica. Per quanto riguarda la salvaguardia dell’ambiente, le politiche governative hanno prodotto mediocri risultati.

La quota di energia consumata dagli utenti finali (ad esempio, famiglie e industria) da fonti rinnovabili è passata dall’8,3% nel 2006 al 17,5% (2015), posizionando l’Italia al 13°posto. In linea con questo dato, il Paese si colloca al 14° posto per le emissioni di gas serra, liberando 6,5 tonnellate di gas pro capite (in equivalenti di CO2) nel 2015. L’Italia è andata ragionevolmente bene grazie alle sue grandi centrali idroelettriche (e geotermiche).

Tuttavia, il Paese ha tra i più alti numeri al mondo di auto pro capite, mentre i trasporti pubblici a breve, medio e lungo raggio sono deboli e rendono difficile la vita nelle città. (…) Smog, particolato, scadente qualità dell’aria e ingorghi stradali compromettono in modo significativo la qualità della vita nelle città italiane. L’erosione è un pericolo in molte parti d’Italia. Forse più di ogni altro settore, l’ambiente richiede una strategia più forte e un’adeguata azione politica”.

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