Un Rapporto di ECIU e Oxford Net Zero ha trovato che gli obiettivi per la neutralità climatica al 2050 di paesi, città, imprese, coprono ora il 61% dell’economia globale, tuttavia solo il 20% degli impegni assunti supererebbe test qualitativi.
Mantenere il riscaldamento globale a 1,5 °C entro la fine del secolo secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi, presuppone l’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica a livello globale entro il 2050.
Negli ultimi anni l’obiettivo net zero emissions è largamente indicato come il principìo guida delle strategie di imprese e paesi. Sebbene la definizione degli obiettivi sia il primo passo, occorrono poi piani dettagliati su come ottenere le riduzioni. Inoltre, la mancanza di una standardizzazione intorno al concetto “net zero” rischia di creare poca chiarezza sulle strategie adottate e impossibilità di valutarne il reale impatto, oltre che alimentare critiche di “greenwashing”.
È quanto emerge dal Rapporto “Taking Stock: A global assessment of net zero targets”.
Pubblicato il 23 marzo 2021 da ECIU (Energy and Climate Intelligent Unit), think tank britannico cheha lanciato l’iniziativa Net-zero Tracker che monitora la transizione dei Paesi verso l’obiettivo di zero emissioni entro la metà del secolo, e Oxford Net Zero, un’iniziativa di ricerca interdisciplinare sulla neutralit6à climatica con sede presso l’Università di Oxford, il Rapporto ha trovato che gli impegni assunti da Governi e Autorità locali, Imprese e Investitori per l’obiettivo di emissioni zero, coprono ora circa i due terzi dell’economia globale (61%), tuttavia, nonostante gli ultimi rapidi progressi, solo il 20% di questi obiettivi supererebbe test di qualità.La ricerca ha sottoposto ad analisi circa 4.000 piani, rivelando come l’obiettivo net zero emissions sia diventato rapidamente mainstream, coprendo:
– il 61% degli impegni nazionali;
– il 68% del PIL mondiale;
– il 56% della popolazione mondiale.
Sebbene la copertura sia incoraggiante, i ricercatori hanno esaminato più a fondo la qualità degli impegni, utilizzando i criteri della “linea di partenza” stabiliti dalla Campagna delle Nazioni Unite “Race to Zero“, con i 4 requisiti che i soggetti aderenti debbono rispettare:
– Pledge (Impegnarsi), per perseguire l’obiettivo a livello di organizzazione entro il 2040 o al più tardi entro la metà del secolo:
–Plan (Pianificare), stabilire prima della prossima COP26 un target intermedio in linea con un taglio delle emissioni globali di carbonio del 50% entro il 2030 e le azioni che verranno intraprese per raggiungere l’obiettivo net zero;
– Proceed (Agire), mettere in campo azioni immediate per il raggiungimento dell’obiettivo net zero e in linea con i target intermedi;
– Publish (Rendicontare), rendere pubblici ogni anno i propri progressi verso la la neutralita carbonica.
Dal Rapporto emerge che attualmente soddisfano i princìpi di “Race to Zero”:
– 15 Paesi (5% per emissioni);
– 14 Stati e Regioni (85 milioni di persone);
– 8 Città (24 milioni di persone);
– 110 Imprese (per 2,4 trilioni di dollari di fatturato).
Per mantenere il mondo sulla buona strada per gli obiettivi climatici globali, abbiamo bisogno che più Paesi, Stati, Regioni e Aziende migliorino gli obiettivi e gli impegni assunti – ha affermato Richard Black, Direttore di ECIU e principale l’autore del Rapporto – C’è una logica per fissare un obiettivo e quindi costruire un piano e meccanismi di rendicontazione per raggiungerlo, ma sia le aziende che i Paesi dovranno fare progressi in questo senso nel periodo che precede la COP26. Paesi come Stati Uniti e Giappone dovranno indicare le loro ambizioni di obiettivi net zero nel più breve termine possibile”.
In particolare l’analisi ha rivelato una forte dipendenza dei Piani dalle compensazioni di carbonio con le attività di riforestazione per lo più nei Paesi in via di sviluppo. Secondo i ricercatori questa pletora di crediti di compensazione di carbonio trova il limite nella quantità di foreste da proteggere, che potrebbe in ultima analisi rallentare il vero progresso di decarbonizzazione.
“È particolarmente importante che gli attori in campo chiariscano il loro approccio alla compensazione – ha sottolineato Thomas Hale della Blavatnik School of Government dell’Università di Oxford e co-autore del Rapporto – Sebbene possa essere necessaria una compensazione per le cosiddette “emissioni residue” in alcuni settori, la priorità più importante è la riduzione immediata delle emissioni. Se ogni azienda e paese facesse affidamento sugli offset e non abbastanza sui tagli effettivi delle emissioni, semplicemente non saremo in grado di accoglierli a livello globale. Le aziende rischiano di lasciarsi aperte alle accuse di greenwashing se non completano gli obiettivi con meccanismi di governance e trasparenza adeguati, inclusa la compensazione su cui fanno affidamento. La priorità più importante è la riduzione immediata delle emissioni”.