30 Marzo 2023
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In Italia chi inquina non paga: è la denuncia dell’ECA

La Corte dei conti europea (ECA) nella sua Relazione speciale “Il principio ‘chi inquina paga’ non è uniformemente applicato nelle diverse politiche e misure dell’UE”, ha preso in esame, tra gli altri, 19 progetti co-finanziati con i Fondi UE e con fondi pubblici dei contribuenti, anziché, degli inquinatori.

Il principio “chi inquina paga” prevede che l’inquinatore debba sostenere i costi dell’inquinamento causato. Secondo una relazione pubblicata oggi dalla Corte dei conti europea, tuttavia, nell’UE non è sempre così. Anche se tale principio è generalmente recepito nelle politiche ambientali dell’UE, è applicato in misura diversa nei vari settori e negli Stati membri e la sua copertura resta incompleta. Di conseguenza, gli interventi di bonifica sono talvolta pagati con fondi pubblici anziché da chi ha provocato l’inquinamento.

È quanto ha rilevato la Corte dei Conti europea (ECA), nella Relazione SpecialeIl principio ‘chi inquina paga’ non è uniformemente applicato nelle diverse politiche e misure dell’UE”, pubblicata il 5 luglio 2021.

Nell’UE esistono quasi 3 milioni di siti potenzialmente contaminati, principalmente da attività industriali e dallo smaltimento e trattamento dei rifiuti. Su 10 corpi idrici superficiali, come laghi e fiumi, 6 non sono in un buono stato chimico ed ecologico”. L’inquinamento atmosferico, un grave rischio sanitario nell’UE, è inoltre nocivo per la vegetazione e gli ecosistemi. Tutto ciò comporta costi significativi per i cittadini dell’UE. In virtù del principio “chi inquina paga”, chi inquina è considerato responsabile dell’inquinamento e del danno ambientale causato. Ed è chi inquina, e non i contribuenti, che dovrebbe farsi carico dei costi associati.

Per raggiungere gli obiettivi ambiziosi del Green Deal europeo con efficienza ed equità, gli inquinatori devono pagare per i danni ambientali che provocano – ha dichiarato Viorel Ștefan, il Membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione – Fino ad oggi, però, troppo spesso i contribuenti europei sono stati costretti a sostenere costi che avrebbero dovuto essere a carico di chi inquina”.

Il principio “chi inquina paga” è un principio fondamentale alla base della normativa e delle politiche ambientali dell’UE, ma la Corte ha riscontrato che viene applicato in misura diversa e non uniformemente.

Per verificare l’applicazione del principio “chi inquina paga” nel caso di progetti cofinanziati con fondi UE, la Corte ha analizzato 42 progetti in 3 Stati membri: 19 in Italia, 10 in Polonia e 13 in Portogallo. La Corte ha esaminato se, nel finanziare tali progetti, l’autorità responsabile avesse preso in considerazione l’applicazione del principio “chi inquina paga”.

Anche se la Direttiva sulle emissioni industriali (IED)si applica agli impianti più inquinanti, in caso di danno ambientale causato da emissioni autorizzate la maggior parte degli Stati membri non obbliga le industrie responsabili al risarcimento. La Direttiva non impone neppure alle industrie di sostenere i costi dell’impatto dell’inquinamento residuo, che ammonta a centinaia di miliardi di euro. Analogamente, la normativa dell’UE in materia di rifiuti integra il principio “chi inquina paga”, ad esempio attraverso la “responsabilità estesa del produttore” (EPR). La Corte rileva però che occorrono spesso ingenti investimenti pubblici per sopperire alla mancanza di fondi.

Tra i casi esempio, l’ex-ILVA di Taranto. Nel 2005, la Corte di Cassazione italiana ha stabilito che una società proprietaria di un grande impianto siderurgico era responsabile di inquinamento atmosferico, scarico di materiali pericolosi ed emissione di particolato. Nel 2010, il comune in cui è ubicato l’impianto ha dichiarato che i costi della bonifica del danno ambientale avrebbero raggiunto i 2 miliardi di euro e ha intrapreso un’azione legale al fine di ottenere un risarcimento. Nel 2011, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha concluso che l’Italia non aveva rispettato la IED. Nel 2015, la società è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria dallo Stato. Nel 2017, è stato avviato un procedimento penale a carico dei precedenti proprietari degli impianti, concluso con un accordo transattivo e la messa a disposizione della società di oltre un miliardo di euro. I fondi recuperati sono usati dallo Stato italiano per le attività di decontaminazione. Nel 2019, una Corte d’appello italiana ha concesso al Comune un risarcimento, che però la società che ha causato il danno non era in grado di pagare.

Inoltre, sottolinea la Corte, chi inquina non sostiene il costo pieno dell’inquinamento idrico. Sono generalmente le famiglie dell’UE a pagare di più, anche se consumano solo il 10 % dell’acqua. Il principio “chi inquina paga” resta di difficile applicazione in caso di inquinamento da fonti diffuse, in particolare quello provocato dall’agricoltura.

Molto spesso, la contaminazione dei siti risale a così tanto tempo prima che l’inquinatore non esiste più, non può essere individuato e non può essere obbligato a risarcire il danno. Questo “inquinamento orfano” è una delle ragioni per cui l’UE ha dovuto finanziare progetti di bonifica che avrebbero dovuto essere pagati dagli inquinatori. E quel che è peggio, l’utilizzo dei fondi pubblici dell’UE è avvenuto in violazione del principio “chi inquina paga”, ad esempio quando le autorità degli Stati membri non hanno applicato la normativa ambientale e non hanno obbligato gli inquinatori a pagare.

Tra i “Progetti orfani” esaminati dalla Corte, un progetto finanziato dai fondi SIE, del valore di 1,9 milioni di euro, per la decontaminazione di un terreno in Puglia occupato in passato da una centrale elettrica a gas in funzione tra la metà del XIX secolo e gli anni sessanta. L’impianto aveva contaminato circa 20 000 m² di terreno e le acque sotterranee con metalli, idrocarburi, amianto ed altre sostanze nocive. Il comune è proprietario del terreno ed era in parte proprietario della società che aveva gestito l’impianto. Le autorità italiane hanno eseguito un’analisi ambientale tra il 1999 e il 2004; successivamente, hanno bonificato il terreno e stanno attualmente ripulendo la falda acquifera. Nessuna norma ha impedito all’impianto di inquinare mentre era in funzione.

I fondi dell’UE sono stati utilizzati anche quando le autorità non hanno applicato la normativa ambientale e imposto a chi inquina di pagare. La Corte ha individuato otto progetti in Campania che hanno ricevuto 27,2 milioni di euro di fondi dell’UE per ripulire l’inquinamento provocato quando la legislazione ambientale dell’UE era già in vigore. Gli operatori responsabili delle discariche di rifiuti urbani non avevano rispettato la normativa ambientale applicabile. Le autorità pubbliche responsabili della supervisione dei siti in questione non hanno imposto agli operatori di ripulire l’inquinamento provocato. Questo utilizzo dei finanziamenti dell’UE non rispetta il principio “chi inquina paga”

Infine, la Corte sottolinea che, quando le imprese non dispongono di garanzie finanziarie sufficienti (ad esempio, polizze assicurative che coprono la responsabilità ambientale), vi è il rischio che i costi della bonifica dei siti finiscano per essere sostenuti dai contribuenti.

Al riguardo viene citato il caso di un’impresa che fabbricava prodotti a base di amianto in Italia e che ha presentato istanza di fallimento. Prima dell’avvio della procedura di liquidazione, l’impresa ha iniziato a porre rimedio al danno ambientale causato dalla sua produzione, su richiesta del ministero italiano dell’Ambiente. Tuttavia, non appena iniziata la procedura fallimentare, il curatore fallimentare ha smesso di finanziare la bonifica. Di conseguenza, le autorità pubbliche regionali hanno proseguito la decontaminazione. Il progetto sottoposto ad audit dalla Corte ha ricevuto un sostegno di 7,1 milioni di euro. Prevedeva la demolizione di edifici al di sopra del piano terra e la messa in sicurezza dei materiali contenenti amianto depositati nel sotterraneo. Le autorità hanno completato i lavori nel 2019. Hanno avviato procedimenti giudiziari per recuperare i fondi utilizzati per le operazioni di bonifica, ma ritengono che sarà difficile recuperare i fondi da una società con una procedura fallimentare in corso.

Ad oggi, solo sette Stati membri (Cechia, Irlanda, Spagna, Italia, Polonia, Portogallo e Slovacchia) richiedono garanzie finanziarie per alcune o per tutte le passività ambientali. A livello dell’UE, tuttavia, tali garanzie non sono obbligatorie, per cui in pratica i contribuenti sono costretti a subentrare e sostenere i costi della bonifica quando chi ha causato il danno ambientale è insolvente.

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