Biodiversità e conservazione Mari e oceani

Vermocane: una risposta a questa emergenza

A seguito dell’aumento della temperatura delle acque del Mediterraneo, correlato ai cambiamenti climatici, si è diffusa notevolmente la presenza del vermocane, una specie di millepiedi marino, che più per i danni alla salute di bagnanti e sub per dolori, bruciori edemi causati dalle sue setole che contengono tossine, preoccupa per gli impatti sugli ecosistemi marini e economici per la riduzione del pescato. Il Progetto di citizen science Worms out per approfondire la sua distribuzione e abbondanza.

In questi mesi estivi sui media sta assumendo rilievo la presenza nei nostri mari del vermocane o verme di fuoco in relazione ai potenziali pericoli per bagnanti e sub che inavvertitamente vengono a contatto con le sue setole che contengono tossine urticanti in grado di provocare dolori, bruciori, edemi, pruriti e intorpidimento.

Il vermocane (Hermodice carunculata) è un polichete marino, dall’aspetto allungato e appiattito che assomiglia ad un millepiedi dalla colorazione vivace, può superare i 70 cm di lunghezza e raggiungere i 9 anni di durata della vita Considerata specie invasiva termofila, ma da molto tempo presente nel Mediterraneo, predilige pareti e fondali rocciosi, ma la sua presenza è segnalata anche nelle praterie di posidonia (P. oceanica) ed eccezionalmente su sabbia.

A seguito dell’aumento della temperatura delle acque del Mediterraneo, correlato ai cambiamenti climatici, si è diffusa notevolmente la sua presenza, risalendo nei bacini più settentrionali. Uno Studio condotto dall’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore), pubblicato su Mediterranean Marine Science e basato su iniziativa di citizen science ha contribuito ad indagare sulla diffusione e distribuzione del vermocane.

Le località in cui sono stati segnalati esemplari di H. carunculata nei sottobacini del Mediterraneo circostanti le coste italiane (Fonte: Medit. Mar. Sci., 21/3, 2020)

Più che allarmare per eventuali danni alla salute, la sua crescita preoccupa per gli impatti sugli ecosistemi marini, comprese le aree di ripristino come le barriere coralline e le praterie di posidonia, sulla biodiversità delle specie bentoniche e sull’economia locale, per le riduzioni di pescato di alcune specie ittiche.

Lo Studio Impact of Hermodice carunculata (Pallas, 1766) (Polychaeta: Amphinomidae) on artisanal fishery: A case study from the Mediterranean sea”, pubblicato sul numero di novembre 2023 di Marine Environmental Research e condotto dall’Università di Catania ha indagato per la prima volta il danno economico causato dal vermocane in termini di variazioni temporali e alterazione della composizione qualitativa delle catture nella pesca con palamiti di  fondo mirati a saraghi (Diplodus sargus), sparidi di pregio del Mar Mediterraneo.

I risultati hanno chiaramente indicato danni economici diretti e indiretti di rilievo alle attività di pesca praticate lungo la costa sud-orientale della Sicilia (Mar Ionio) – ha dichiarato Francesco Tiralongo, Docente e ricercatore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania e principale autore dello Studio – È importante notare che i danni aumentano in corrispondenza del periodo più caldo, sebbene la presenza del vermocane sia stata riscontrata durante tutti i mesi di indagine. Tuttavia la situazione attuale richiede particolare attenzione poiché ci si aspetta che peggiori nel contesto dei futuri scenari di riscaldamento globale, pertanto sono necessari urgentemente ulteriori studi”.

Il vermocane mentre attacca una preda (foto di Gianfranco Alemanno)

In risposta a questa emergenza è stato recentemente lanciato il progetto Worms Out  dall’ente capofila l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), in collaborazione con gli atenei di Catania, di Messina, di Modena e Reggio Emilia, l’ISPRA e l’Area marina protetta Capo Milazzo, che ha come obiettivo quello di continuare ad approfondire la distribuzione e l’abbondanza del vermocane soprattutto lungo le coste siciliane tirreniche e ioniche, utilizzando trappole idonee a catturare la specie e avvalendosi delle segnalazioni di pescatori e cittadini.

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