Circular economy Sostenibilità

Transizione ecologica: dalle persone alle politiche e viceversa

Un nuovo e stimolante position paper del Laboratorio Servizi Pubblici Locali di REF Ricerche, prova a rileggere e ridefinire i modelli di consumo e di produzione per orientare il paradigma di sviluppo verso la transizione ecologica. Tale processo non può prescindere da un chiaro e forte intervento della politica, la quale ha il dovere di indirizzare cittadini e industrie, e quindi consumo e produzione, verso una maggiore circolarità dell’economia.

È necessario ricostruire i modelli di produzione e di consumo, abilitando il reddito come strumento in grado di generare sostenibilità. Il progresso tecnologico è chiamato a trovare il modo di coniugare il miglioramento del tenore di vita con la tutela dell’ambiente. Se i modelli di consumo saranno orientati all’ambiente anche la produzione vi si dovrà adeguare. È questo il senso più intimo della transizione ecologica.

È la sintesi del nuovo position paperLa Transizione Ecologica: dalle persone alle politiche e viceversa” del Laboratorio Servizi Pubblici Locali di REF Ricerche, Società indipendente che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali, pubblicato il 23 settembre 2021.

Secondo i ricercatori (Donato Berardi, Filippo Galimberti, Antonio Pergolizzi, Michele Tettamanzi), nel corso del tempo, il rapporto fra esseri umani e natura ha vissuto innumerevoli mutamenti, un continuo oscillare tra armonia e conflitto, senso di appartenenza e contrapposizione, scelta di assecondarne i ritmi e invece spinta a modificarne l’aspetto, fino a piegare l’ambiente circostante alle esigenze dell’uomo.

Tuttavia, l’emergenza attuale ci costringe a compiere un passo ulteriore e ripensare ai modelli di consumo a quelli di produzione, quali due facce della stessa medaglia della nostra società, in modo tale che siano orientati alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente.

I primi riguardano soprattutto “le persone”: quanta quota del loro reddito dedicare alla spesa, e in che modo spendere.
Quelli di produzione, invece, chiamano in causa il “mondo industriale” a cui si chiede di continuare a ricercare la crescita, ma investendo in favore di processi produttivi maggiormente efficienti e circolari, così da tutelare sia il benessere dei cittadini (e il loro reddito) che salvaguardare l’ambiente.
In questo senso, quindi, i rifiuti (e la loro gestione), si pongono come il risultato più tangibile e ingombrante dei nostri modelli di consumo e produzione.

Sviluppo economico, miglioramento della qualità della vita e tutela dell’ambiente: Oggi si guarda alla transizione ecologica quale soluzione che sappia far convivere in maniera armonica tre elementi fino ad ora poco equilibrati: sviluppo economico, miglioramento della qualità della vita e tutela dell’ambiente. Una sfida che, per essere vinta, necessita di strumenti in grado di misurarne la relazione.  Tra di essi vi sono:
– la curva di Kuznets ambientale, dal nome dell’omonimo economista Premio Nobel per l’Economia197, che indaga i modelli di consumo;
– il decoupling (disaccoppiamento tra crescita economica e gli impatti ambientali) che si occupa dei modelli di produzione.

La curva di Kuznets, spiegano i ricercatori, identifica il rapporto che intercorre fra il reddito pro capite e l’inquinamento prodotto da ciascun cittadino quale relazione tra reddito e diseguaglianza sociale: infatti, un’elevata produzione di rifiuti avviene necessariamente in seguito a un utilizzo intensivo, ovvero poco efficiente, delle risorse, a discapito di chi alle risorse non ha accesso o comunque delle generazioni future, chiamate a rimediare. L’ipotesi di questa teoria è che al crescere del reddito pro capite l’impatto ambientale cresca fino a segnare un picco, per poi decrescere superato un certo livello del reddito, in modo da disegnare una curva ad “U rovesciata”.

Ma qual è il canale attraverso il quale questa relazione si esplica?
Innanzitutto, spiegano i ricercatori che hanno utilizzato dati riferiti al reddito degli italiani, ai loro consumi e alla quantità di rifiuti prodotti a livello comunale, al crescere del reddito pro capite aumentano i consumi: 1.000 euro di reddito addizionale per ciascuna famiglia si trasformano in circa 740 euro di consumo. Questa relazione è decrescente nel reddito ad indicare che i redditi più bassi consumano proporzionalmente una quota maggiore del proprio reddito; specularmente le classi più abbienti dispongono di un risparmio maggiore.

In seconda battuta è possibile osservare che al crescere dei consumi crescono anche i rifiuti prodotti: maggiori acquisti si traducono in una produzione maggiore di rifiuti in ambito domestico, a causa – ad esempio, degli imballaggi e di una sostituzione più frequente degli oggetti di uso quotidiano. In media 1000 euro di consumo pro capite si trasformano in circa 22 kg di rifiuto urbano. E ancora. Se al crescere del reddito cresce anche il consumo, e al crescere del consumo cresce la produzione di rifiuto, allora, per proprietà transitiva, al crescere del reddito aumenta anche la produzione di rifiuto pro capite. In media, è quindi possibile asserire che per ogni 1.000 euro di reddito in più, si osservano circa 16 kg di rifiuto urbano.

Ricapitolando: se è vero che al crescere del reddito si osserva anche l’aumento della produzione di rifiuto è vero anche che questa crescita una volta arrivata al suo “picco” reddituale registra un’inversione di tendenza che la porta a essere decrescente. La relazione, robusta e significativa, permette di identificare il punto di massimo della “U” rovesciata in corrispondenza di un reddito pro capite di circa 23 mila euro, cui si associano 514 kg di rifiuto urbano pro capite prodotti.

Sono circa 7.350 i Comuni che si trovano nella fase “crescente” della curva (il 95% dei Comuni per cui sono disponibili misurazioni): in questi territori, al crescere del reddito di 1.000 euro il rifiuto prodotto aumenta di circa 18 kg. Viceversa, nei circa 370 comuni che si trovano nel tratto discendente della curva, ad ogni 1.000 euro di reddito pro capite aggiuntivo si associa una riduzione della produzione di rifiuto di 2 kg. Non si tratta di un eclatante virtuosismo, ma evidenzia un chiaro stacco in termini di comportamento.

Il tema è a questo punto duplice: se la fotografia che ci viene restituita dai dati racconta che oltre certi livelli di reddito la produzione di rifiuto si riduce, allora è evidente che ogni politica ambientalista dovrebbe essere in grado di coniugare la sostenibilità con il progresso dei redditi, prevenendone lo scivolamento, a cui si associa anche un peggioramento degli standard ambientali.

Tale relazione si osserva a livello di produzione di rifiuto urbano complessiva, come somma del rifiuto differenziato e indifferenziato. Ciò significa che non siamo in presenza di un mero effetto di composizione (tra “differenziato” e “residuo”), piuttosto di una reale riduzione del rifiuto prodotto, coerente con la gerarchia dei rifiuti, che vede proprio nella prevenzione e nella riduzione della produzione il comportamento virtuoso da ricercare.

Uno sguardo più approfondito permette di identificare un chiaro effetto territoriale, guidato probabilmente dalla distribuzione del reddito: le regioni settentrionali, caratterizzate da un livello del reddito superiore, si trovano nel tratto discendente della curva, ove si osserva la decrescita della produzione di rifiuto.

Un secondo effetto associato al territorio è rinvenibile nel rapporto tra produzione di rifiuto e dimensione dei centri abitati: i Comuni più piccoli esibiscono una produzione di rifiuto minore rispetto ai Comuni di dimensioni maggiori. Un’evidenza, che con ogni probabilità si spiega con stili di consumo caratterizzati da un maggiore ricorso alla auto-produzione e/o a prodotti del territorio, con un minore utilizzo di imballaggi. Giova sottolineare che i centri di maggiori dimensioni sono anche caratterizzati, in media, da redditi più elevati, ai quali come già in precedenza mostrato si legano consumi e produzione di rifiuto più elevate, almeno sino ad una certa soglia.

Il disaccoppiamento (decoupling) tra impatti ambientali e crescita economica ha invece un’accezione più ampia, che può essere tradotta in un modello di produzione nel quale il benessere e la qualità della vita delle persone possono crescere senza generare ulteriore pressione sull’ambiente.

Nel caso in esame, si parla di disaccoppiamento quando alla crescita economica, in termini di maggiore reddito e maggiori consumi, non corrisponde un aumento proporzionale della produzione di rifiuti da parte delle attività economiche: l’intensità della produzione di rifiuto per unità di PIL è il termometro della sostenibilità del modello di produzione e di consumo.

Il concetto di disaccoppiamento diventa particolarmente rilevante nella prospettiva della Transizione ecologica. Esso, infatti, si realizza nell’osservare se e in quale misura pratiche industriali più avanzate possano contribuire a creare ricchezza e insieme impatti ambientali minori. Vista da questa prospettiva la Transizione ecologica si realizza nel promuovere tecniche produttive via via più efficienti, in grado di mantenere inalterata la produzione e la creazione di reddito, e coniugarle con un uso più parsimonioso delle risorse, attento ai loro ritmi di rigenerazione. Lo sganciamento della produzione di rifiuti dalla crescita del PIL dovrebbe essere il primo segnale dell’avvio di questo percorso.

Il valore aggiunto – la somma dei redditi distribuiti – è una variabile del reddito prodotto nel Paese. Ciò che naturalmente saremmo portati a pensare, sottolineano i ricercatori che per l’indagine si sono serviti dei rifiuti speciali, derivanti da attività economiche, agricole, industriali e commerciali, è che ad una maggiore intensità dell’attività economica (e quindi, ad un maggiore flusso di reddito creato) corrisponda anche una maggiore quantità di rifiuto prodotto.

Il disaccoppiamento permetterebbe di preservare i livelli di benessere raggiunti riducendo il nostro impatto ambientale, minimizzando il trade-off tra economia e ambiente. Raggiungere questo obiettivo consentirebbe di mettere nel cassetto gli scenari di decrescita come panacea ad ogni male, e abbracciare con maggiore convinzione un paradigma di sviluppo vocato alla tutela dell’ambiente.

I fattori in gioco sono molteplici: il tempo, lo sviluppo tecnologico, la produzione di nuovi materiali, sino a nuovi modelli di gestione e tariffazione del rifiuto in grado di spingere le imprese a comportamenti virtuosi.

La relazione che lega la produzione di rifiuti speciali al valore aggiunto cambia inclinazione anno dopo anno, in maniera quasi aleatoria: ciò significa che non è in atto una tendenza a diminuire la produzione di rifiuti, pur essendo cresciuti i redditi prodotti.

Studiando per ciascun anno il volume dei rifiuti speciali (variabile dipendente) in relazione con il valore aggiunto (variabile indipendente), i ricercatori hanno constatato che quest’ultimo non è diminuito: all’aumentare del valore aggiunto, aumentano anche i rifiuti speciali prodotti.

Le analisi grafiche effettuate, consentono di affermare che non siamo ancora riusciti a realizzare il disaccoppiamento e cioè che la produzione di rifiuti rimane saldamente “ancorata” all’andamento del PIL, peraltro con una intensità che non si riduce nel tempo.

La Transizione ecologica per cambiare i modelli di produzione
I 209 miliardi in arrivo del Next Generation EU hanno smosso il quadro politico e soprattutto economico, principalmente dove i due elementi sono legati. La Presidenza del Consiglio ha preso un impegno dinanzi all’Europa, tanto che al nuovo ministero è stata effettivamente trasferita la direzione generale per l’approvvigionamento, l’efficienza e la competitività energetica e la direzione per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi energetici e geominerari.
Il messaggio che il nuovo ministro sembra portare è che ‘la tecnica è la risposta: un messaggio condivisibile, in un Paese che investe troppo poco su ricerca e innovazione e che sta pagando dazio non solo in termini ambientali, ma anche di competitività – si legge nel position paper del Laboratorio REF Ricerche – Tuttavia, si tratta di un messaggio che dovrebbe tenere conto del fatto che la tecnica è un mezzo e non un fine, ed opera in un contesto complesso, come quello di un sistema-paese”.

Per i ricercatori, è forse troppo semplicistico, seppure tutt’altro che scontato, affidare solo alla tecnica il ruolo di ridurre l’impronta ecologica, rischiando così di deresponsabilizzare la collettività, intesa come cittadini, imprese e istituzioni. Anche la migliore tecnologia non è neutrale: la necessità di cambiare nel più breve tempo possibile è sopravvenuta anche per le mancate risposte offerte dalla tecnica, frenata dai mancati investimenti nella ricerca e nello sviluppo e/o dal business as usual. Non si è saputo dare una guida sostenibile, un fine giusto ed equo, anche per le generazioni future. Se stiamo vivendo l’attuale emergenza ambientale non è solo perché non abbiamo finora avuto strumenti adeguati, ma perché non li abbiamo usati o li abbiamo usati male, senza responsabilità. Il cambiamento di paradigma richiede soprattutto una diversa idea di futuro e non solo una maggiore attenzione alle tecniche: occorre accettare che il cambiamento parta dalla testa, e non solo dalle braccia.

La sostenibilità deve essere il motore per la crescita economica. La nuova società deve fondarsi sul riconoscimento che la sostenibilità è la dimensione in grado di generare reddito e benessere per tutti, e di cui la tecnica possa essere al servizio. Da un modello lineare, ancora oggi mainstream, a un modello circolare, fatto di riprogettazione, osmosi produttiva, sinergie, reti, buone pratiche, etica, competenze, fantasia.

La scienza economica oggi sembra non essere in grado di stimare il vero tasso di sconto per attualizzare i costi futuri del riscaldamento globale: diverse scuole di pensiero arrivano a conclusioni significativamente diverse. Di nuovo, quindi, emerge con prepotenza la necessità di una razionalità diversa rispetto a quella puramente economica che faccia leva sull’etica e sul senso di giustizia.

È questo il significato più intimo della Transizione ecologica, nel quale le istituzioni sono chiamate a indicare la via e a coordinare l’impegno collettivo di cittadini e imprese.

Imprese e cittadini, modelli di produzione e di consumo: sono due facce di una stessa medaglia, la quale deve essere forgiata dalle politiche pubbliche – sottolineano gli autori del position paper –   . Ad esse infatti spetta la scelta ‘del metallo più nobile’ o – fuor di metafora, l’orientamento verso cui tendere”.

Quattro sono le strade che possono essere percorse, per far sì che le due facce della medaglia agiscano insieme per realizzare la sostenibilità.
Una prima si sostanzia nell’innescare con anticipo la nascita della “coscienza ambientale”: far sì che essa non sia appannaggio esclusivo dei cittadini più abbienti o istruiti, ma divenga un patrimonio di conoscenze trasversale.
Una seconda strada, più lunga e complessa, fortemente ancorata al progresso tecnologico, risulta nel “appiattire la curva” in ogni suo punto, ovvero adottare e diffondere tecnologie di produzione e consumo a minore impatto ambientale.
La terza via invece prevede un aumento dei redditi, in grado dunque di rendere economicamente sostenibili per i cittadini modelli di consumo ambientalmente preferibili.
La quarta, infine, si riconosce nell’accettare una perdita di consumo laddove vi è consapevolezza che quel consumo è inconciliabile con la salvaguardia dell’ambiente: una strada quest’ultima che chiama una riflessione quotidiana sulla opportunità e utilità di quel consumo, riportandolo da fine a mezzo per soddisfare i reali bisogni. Un processo bottom-up che deve partire da una salda vocazione individuale e che chiede anche la partecipazione attiva dei cittadini.

I percorsi indicati non sono tra loro rivali, è anzi auspicabile che vengano percorsi contemporaneamente – concludono gli autori – Ripartire allora tutti dall’educazione ambientale, come guida per ridefinire i modelli di produzione e consumo, così da perseguire simultaneamente la crescita economica e del benessere e la tutela dell’ambiente”.

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