Uno Studio condotto per la parte sperimentale da ARPA Piemonte e Università di Torino e per quella teorica dall’Università di Cassino e dalla Università di Tecnologia di Brisbane, ha confermato quanto supposto che sul piano teorico che il virus SARS-CoV-2 si trasmette tramite aerosol ben oltre la distanza a lungo ritenuta “di sicurezza”(1-1.5 m).
Il Covid-19 può essere trasmesso per via aerea in ambienti chiusi non solo tramite le goccioline respiratorie di più grandi dimensioni.
A dirlo è lo Studio “Link between SARS-CoV-2 emissions and airborne concentrations: Closing the gap in understanding”, pubblicato online prima dell’edizione cartacea su Journal of Hazardous Materials, frutto della collaborazione tra ARPA Piemonte e Università di Torino da una parte e l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e la Queensland University of Technology di Brisbane (Australia), dall’altra, rappresentate dal Prof. Giorgio Buonanno e dalla Prof.ssa Lidia Morawska, ricercatori leader nella scienza dell’aerosol e nella gestione dei rischi di infezione.
Il Centro regionale di Biologia molecolare dell’ARPA Piemonte, in collaborazione con il Laboratorio di Virologia Molecolare e Ricerca Antivirale diretto dal Professor David Lembo del Polo Universitario San Luigi Gonzaga di Orbassano dell’Università di Torino, ha sviluppato, sperimentato e validato un metodo per il campionamento e l’analisi del SARS-CoV-2 nell’aria in condizioni controllate, dimostrazione non ancora presente in letteratura scientifica.
Gli esperimenti condotti, oltre a stabilire che il virus SARS-CoV-2 si trasmette tramite aerosol ben oltre le distanze a lungo ritenute “di sicurezza” (1-1.5 m), hanno confermato anche l’influenza esercitata dalla tipologia di attività respiratoria rispetto all’emissione di aerosol virale e alla conseguente diffusione nell’ambiente: come già anticipato da studi precedenti, le emissioni durante la fonazione (la produzione di suoni o rumori per mezzo degli organi vocali) risultano essere di un ordine di grandezza superiori rispetto alla semplice attività di respirazione.
“Questo studio colma finalmente una lacuna di conoscenza circa la trasmissione di SARS-CoV-2 con una solida evidenza sperimentale che risolve un tema controverso – ha sottolineato il Direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare dell’Università di Torino, David Lembo – Possiamo ora affermare che il virus può essere trasmesso per via aerea in ambienti chiusi e non solo attraverso le droplets. Un successo della ricerca italiana che permetterà di applicare i metodi sviluppati anche allo studio degli altri virus respiratori noti e a quelli che si potrebbero presentare in futuro”.
“La migliore ricerca scaturisce dall’incontro di competenze differenti, complementari e sinergiche – ha precisato il Direttore generale di ARPA Piemonte, Angelo Robotto – Arpa Piemonte è parte di un prestigioso pool internazionale di scienziati che fa del metodo scientifico il proprio driver nella gestione del rischio di infezione da patogeni a trasmissione aerea negli spazi chiusi. Non c’è dubbio che un adeguamento tecnologico radicale deve essere introdotto per mettere in sicurezza gli ambienti indoor attraverso la ventilazione ed il trattamento dell’aria. L’ambiente e le matrici ambientali sono fondamentali come sentinelle per le ricadute sanitarie”.
Dai risultati sperimentali e teorici condotti si possono trarre le seguenti conclusioni.
– Quando si parla è stato dimostrato un legame diretto tra emissione e concentrazione nell’aria. Il virus si diffonde nell’aria con conseguente rischio di contagio quando un soggetto sensibile inala quanti infettivi del virus contenuti nelle particelle delle attività respiratorie.
–L’impossibilità di rilevare la presenza del virus nell’aria (in termini di copie di RNA) quando il soggetto respira non significa che non ci sia il rischio di infezione quando le persone non parlano. La concentrazione del virus al di sotto del limite di rilevazione del metodo non esclude la possibilità di inalazione di quanti infettivi durante esposizioni più lunghe in ambienti scarsamente ventilati.
– Il legame tra emissioni e concentrazioni nell’aria può essere quantificato mediante un approccio teorico sviluppato di recente. Lo studio ha convalidato l’approccio teorico attraverso un’analisi di compatibilità metrologica, suggerendo che può supportare le autorità sanitarie pubbliche nella decisione sulle misure di controllo per ridurre il rischio di infezione. Ad esempio, la simulazione di scenari di esposizione (sia in prossimità che in ambienti interni) consente di determinare la massima occupazione degli ambienti interni presi in considerazione (ad es. aule, microambienti di trasporto) e la durata massima dell’occupazione (eventi).
– La natura complessa del metodo sperimentale richiesto per misurare la concentrazione di SARS-CoV-2 nell’aria è inevitabilmente associata ad elevate incertezze. La valutazione dell’incertezza del metodo sperimentale condotta nello studio è di grande importanza perché, per la prima volta, è stato possibile identificare quali parametri contribuiscono in modo determinante all’incertezza.
– Il budget di incertezza dell’approccio teorico ha identificato l’emissione volumetrica di particelle (se viene misurata la carica virale) come il principale contributore all’incertezza. Ciò significa che il miglioramento dell’accuratezza della misurazione delle particelle respiratorie emesse durante le diverse attività, che costituisce una sfida chiave per la comunità scientifica coinvolta in questo tipo di ricerca, potrebbe ridurre l’incertezza complessiva dell’approccio predittivo.
“Lo ripetiamo da tempo e ora ne abbiamo anche la dimostrazione. Il virus si trasmette per via aerea negli ambienti chiusi – ha concluso Giorgio Buonanno dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e princiipale autore dello Studio – E qui mascherine chirurgiche, distanziamento e vaccini non sono sufficienti ad evitare il diffondersi dell’infezione, come la variante Omicron ha ulteriormente dimostrato. Ma ci sono valide contromisure, di tipo tecnico-ingegneristico: ventilazione, riduzione dell’emissione, gestione dei tempi di esposizione e affollamento possono mitigare il rischio di infezione. Siamo in grado di mettere in sicurezza l’aria, a prescindere dalle varianti, come già è stato fatto con l’acqua”.