Uno Studio condotto dalla Brunel University di Londra ha rilevato che un ceppo Pseudomonas aeruginosa, batterio che provoca infezioni soprattutto in strutture ospedaliere e che è resistente agli antibiotici, è in grado di digerire il policaprolattone (PCL) utilizzato in suture, stent e reti chirurgiche, trasformando il polimero in cibo, e persistere più a lungo sulle superfici dei reparti.
Pseudomonas aeruginosa, un batterio che colpisce soprattutto persone con difese immunitarie o barriere fisiche (pelle o mucose) compromesse, quali pazienti ricoverati in ospedali da più di una settimana, e che è particolarmente pericoloso perché coinvolto nel fenomeno della resistenza agli antibiotici (AMR) e attenzionato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) che gli imputa 559.000 decessi all’anno, è in grado di digerire la plastica, in particolare quella utilizzata in alcune suture, stent e impianti presenti all’interno del corpo umano, che ne favoriscono la crescita e consentono una più lunga persistenza nei reparti ospedalieri e nei pazienti.
La prima scoperta al mondo che sfida la convinzione diffusa che i patogeni non possano degradare le materie plastiche medicali, dimostrando che i batteri possono “nutrirsi” di plastica per sopravvivere, è stata fatta da microbiologi della Brunel University di Londra la cui ricerca dal titolo “Pseudomonas aeruginosa clinical isolates can encode plastic-degrading enzymes that allow survival on plastic and augment biofilm formation” è stata pubblicata sul numero 44 del 27 maggio 2025 diCell Reports.
I ricercatori hanno isolato l’enzima, denominato Pap1, da un ceppo di Pseudomonas aeruginosa prelevato originariamente dalla ferita di un paziente. Testato in laboratorio, l’enzima ha degradato in soli 7 giorni il 78% di un campione di plastica di rilevanza medica, il policaprolattone (PCL), una plastica spesso utilizzata in suture, medicazioni per ferite, stent, cerotti per la somministrazione di farmaci e reti chirurgiche, utilizzandolo come unica fonte di carbonio.
“Questo significa che dobbiamo riconsiderare il modo in cui i patogeni vivono nell’ambiente ospedaliero – ha affermato Ronan McCarthy, Professore di Scienze Biomediche alla Brunel University e coordinatore della ricerca – La plastica, comprese le superfici in plastica, potrebbe potenzialmente essere fonte di nutrimento per questi batteri. I patogeni con questa capacità potrebbero sopravvivere più a lungo nell’ambiente ospedaliero. Significa anche che qualsiasi dispositivo medico o trattamento contenente plastica potrebbe essere suscettibile alla degradazione batterica“.

Un aspetto fondamentale che deriva dallo studio è che il batterio potrebbe anche utilizzare la plastica come unica fonte di carbonio, di fatto ingerendola, che lo rende più pericoloso. Il team ha dimostrato che i frammenti di plastica scomposti lo aiutano a formare biofilm più resistenti che aiutano i batteri a superare gli antibiotici e rendono le infezioni più difficili da trattare.
Sebbene i ricercatori abbiano confermato la degradazione ha interessato solo il PCL, tracce di enzimi simili sono stati rintracciati anche in altri patogeni. Ciò significa che le materie plastiche potrebbero essere vulnerabili all’attacco microbico, e alcuni dei materiali medicali più utilizzati, realizzati in polietilene tereftalato o poliuretano, potrebbero essere a rischio.
“Dovremmo iniziare a concentrarci sulle plastiche più difficili da digerire per i microbi e potenzialmente di sottoporre a screening i patogeni per questi enzimi, soprattutto in caso di epidemie prolungate e inspiegabili – ha osservato McCarthy – Gli esperti di controllo delle infezioni potrebbero anche riconsiderare il modo in cui monitorano gli ambienti ospedalieri. La plastica è onnipresente nella medicina moderna e, a quanto pare, alcuni agenti patogeni si sono adattati per degradarla. Dobbiamo comprendere l’impatto che questo ha sulla sicurezza dei pazienti“.
Foto di copertina: Fonte Brunel University London