Regioni Territorio e paesaggio

L’Italia suddivisa in 31 o 36 nuove Regioni-Distretti

Italia suddivisa in 31 o 36 nuove Regioni-Distretti

È la proposta di riordino territoriale in sostituzione delle odierne Province e degli attuali confini delle Regioni elaborata dalla Società Geografica Italiana, in collaborazione con il Ministero degli Affari Regionali e le Autonomie, presentata alla stampa la settimana scorsa.

Il tema è di grande attualità, trattandosi della riforma del titolo V della Carta Costituzionale, quello relativo alle funzioni di Regioni, Province e Comuni per intenderci.

Già sottoposto a revisione mediante l’approvazione della Legge Costituzionale n. 3 del 2001 che ha decentrato i poteri, dando anche la possibilità ad ogni Regione di farsi propri bilanci (sarà casuale che da allora sono raddoppiati?), c’è ora il Disegno di legge costituzionale “Abolizione delle Province”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 luglio u.s., dopo che 2 giorni prima la Corte Costituzionale annunciava la bocciatura del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, avente ad oggetto “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”, il cui art. 17 conteneva “Soppressione e razionalizzazione delle province e loro funzioni”: “in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio”. 

Ora la proposta di “Neoregionalismo” (31 o 36 Regioni a Statuto Speciale, con contestuale abolizione delle Province) della Società Geografica Italiana (SGI) presentata il 10 dicembre 2013 ridisegna l’assetto territoriale, amministrativo e giuridico dell’Italia, con una riorganizzazione territoriale e un miglioramento dei servizi, a fronte di un abbattimento dei costi. 

Si tratta di possibili ‘nuovi’ ambiti regionali “che non  escludono le dimensioni provinciali e regionali attuali, ma le ridefiniscono in ragione della dinamica degli eco-sistemi urbani quale fondamento della possibile competitività, della coesione economica e della valorizzazione dei contesti territoriali. Il disegno che ne emerge, “suscettibile di un inevitabile dibattito politico, prevede inoltre la definizione di livelli di aggregazione comunale (e non di un accorpamento delle province), volti a perseguire adeguatezza funzionale e sensibili risparmi di spesa”.

Un disegno dell’Italia, quindi, ”in regioni assolutamente autonome che possano legiferare in completa autonomia, in rispetto di  quanto previsto dall’art. 5 relativamente alla promozione delle autonomie favorendo il decentramento amministrativo”.

La proposta della Società geografica ”deve necessariamente accompagnarsi alla riscrittura costituzionale, unitamente alla ridefinizione dell’attribuzione alle nuove entità dei ruoli e dei poteri, in particolare di quelli legislativi. Si aggiungano gli effetti di questa attribuzione sul contenimento della spesa, i rapporti con la programmazione comunitaria, il contributo a una più efficiente e dinamica autonomia”.

Il lavoro della Società Geografica Italiana, fondata nel 1867, parte da un importante studio del 1999 che già prevedeva un ridisegno dei confini regionali volto a snellire la macchina burocratica e amministrativa delle Province e delle Regioni, oltre che a rivedere il territorio secondo criteri geografici, demografici, culturali, infrastrutturali e sociali.

Si tratta di un disegno programmatico che trascende le consolidate suddivisioni amministrative provinciali e regionali. Competitività, sostenibilità ambientaleinnovazione socio-culturale rappresentano i nuovi assets strategici su cui fondare una possibile proposta. L’obiettivo, secondo la Società Geografica, è quello di proporre un’organizzazione dell’Italia articolato in una molteplicità di centralità strategiche secondo l’individuazione di una pluralità di “nuovi fattori di localizzazione” che sostengano un ritaglio amministrativo adeguato al territorio. 

Ecco i fondamenti metodologici della proposta della Società Geografica Italiana.

– Le funzioni urbane: i sistemi metropolitani caratterizzati da valori più elevati di densità insediativa (residenziale, produttiva, terziaria, di servizio) rappresentano delle realtà imprescindibili.

– La delimitazione fisico-funzionale: la presa in carico e la verifica dell’efficienza dei contesti areali e urbanizzati adiacenti, ma nel contempo aggregabili funzionalmente al “cuore” in quanto sistemi di riequilibrio gravitazionale (residenziale, produttivo, turistico, del tempo libero). In questo quadro rientrano le cosiddette aree libere che si trasformerebbero da territori indifferenziati ad aree funzionali specifiche del sistema di riferimento.

– Le reti di connessione (e di gravitazione): la verifica dell’accessibilità fra queste entità territoriali e le zone circostanti dal punto di vista delle infrastrutture.

– La presa in carico del capitale relazionale e sociale.

– La valorizzazione patrimoniale: ovvero una combinazione di vantaggi specifici sintetizzabili in quattro attributi che potrebbero interagire e rafforzarsi reciprocamente: il patrimonio storico-artistico, la cultura immateriale, le componenti ricettive, la dimensione spettacolar-culturale.

– L’individuazione di quei casi in cui il sistema prevede la presenza di due o più centri che rappresentano congiuntamente una “centralità diffusa”. 

– La proposta della Società Geografica rispetta il più possibile la sovrapposizione con gli attuali confini amministrativi, laddove questa non metta in discussione i fondamenti dello scenario proposto.

– Le deroghe della proposta dovranno essere presentate alla popolazione ed essere oggetto di consultazione.

– Le nuove regioni saranno il più possibile autosufficienti potendo beneficiare al proprio interno dell’esercizio del maggior numero possibile di funzioni. Ne deriverebbe, dunque, un risparmio di gestione e una semplificazione del quadro dell’erogazione di servizi. 

L’ipotesi di riorganizzazione delle istituzioni locali porterebbe a distribuire la popolazione nazionale per il 36,3% (21,6 milioni di abitanti) nelle Aree metropolitane, per il 9,2% (5,5 milioni di abitanti) nelle Polarità urbane e per il 54,5% (32,4  milioni di abitanti) nelle Comunità territoriali. Oltre 11 milioni di abitanti (circa un terzo della popolazione totale del paese) ricadrebbero in Comunità contigue alle Polarità urbane.

Ecco le regioni previste nelle proposte.

Per l’ipotesi di 31 Regioni: 1) del Tanaro, 2) La grande Torino, 3) Valsesia/Piemonte settentrionale, 4) La Grande Milano, 5) Insubria, 6) Liguria, 7) del Garda, 8) Dolomitia, 9) Veneto, 10) Friuli/Iulia, 11) Emilia/La Grande Bologna, 12) Padania orientale/Romagna, 13) Tirrenia, 14) La grande Firenze, 15) Etruria, 16) Umbria, 17) Marche, 18) Roma Capitale, 19) Ciociaria, 20) Abruzzo, 21) Napoletano, 22) Campania, 23) Daunia, 24) Puglia, 25) Salento, 26) Basilicata, 27) Calabria, 28) Sicilia Ionica, 29) Sicilia occidentale, 30) Sardegna settentrionale, 31) Sardegna meridionale.
Per la proposta che prevede 36 enti, alle 31 precedenti si aggiungono: Valle d’AostaPadania occidentale/le città del PoPadania orientale/del deltaAlto Adigedello Stretto.

L’auspicio è che la proposta venga presa seriamente in considerazione del valore scientifico degli Studi che compie la SGI e che non venga fatta oggetto di polemiche e inconcludenti discussioni sull’abolizione o meno delle Province che erano 94, quando nacquero nel 1970 le Regioni, e che sono diventate 110.

Il geografo marchigiano Francesco Bonasera scrisse alla fine degli anni ’60 in edizione ciclostilata, probabilmente ad uso dei suoi studenti, un profilo della ripartizione territoriale delle Marche, in cui adombrava la discutibile appartenenza nei confini amministrativi delle Marche, dell’Alta Val Marecchia. Buonasera morì nel 2008, mentre il 15 agosto 2009 l’Alta Valmarecchia veniva distaccata dalle Marche e aggregata all’Emilia-Romagna.

E pensare che con il cosiddetto “riordino Gelmini”, la Geografia è stata di fatto scomparire dal panorama dell’istruzione superiore, nonostante la materia si interessi di politica, ambiente, economia, di cultura scientifica e umanistica di base.

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