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Mortalità e ricoveri associati alle emissioni delle centrali a carbone

Secondo una ricerca condotta dagli epidemiologi ambientali dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IFC) di Pisa, che hanno studiato l’impatto sanitario della centrale a carbone di Vado Ligure, bloccata nel 2014 e chiusa dal 2016, sulla popolazione residente nei 12 comuni vicini, dal 2001 al 2013 la mortalità per tutte le cause (sia uomini che donne) è aumentata del 49%.

Le centrali termiche alimentate a carbone rappresentano una fonte significativa di inquinanti atmosferici, soprattutto per l’anidride solforosa (SO2) che è stata associata ad un aumentato rischio di mortalità e morbilità per le malattie respiratorie e cardiovascolari. 

La centrale a carbone “Tirreno Power” a Vado Ligure (SV), avviata nel 1970 è stata poi interrotta nel 2014, quando la Procura della Repubblica di Savona ha fatto fermare gli impianti a carbone per “disastro ambientale e sanitario colposo”, e successivamente chiusa nel 2016.

Ora sulla rivista Science of the Total Environment è stata pubblicata on line, prima dell’edizione cartacea sul numero di dicembre, la ricerca Mortality and hospitalization associated to emissions of a coal power plant: A population-based cohort study”, condotta dagli epidemiologi ambientali dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IFC) di Pisa, che hanno studiato l’impatto sanitario di quella centrale.

In particolare, la ricerca ha valutato la relazione tra l’esposizione a inquinanti atmosferici emessi dalla centrale e il rischio di mortalità e ricovero in ospedale per cause tumorali e non tumorali, studiando tutta la popolazione residente dal 2001 al 2013 in 12 comuni intorno a Vado Ligure

L’esposizione a biossido di zolfo (SO2) e ossidi di azoto (NOx) è stata stimata dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Liguria (ARPAL), mediante un modello di dispersione che ha considerato le emissioni da fonti industriali, portuali e stradali – ha dichiarato Fabrizio Bianchi del CNR-IFC, coordinatore del gruppo – L’area è stata suddivisa in 4 classi di esposizione a inquinanti (diversi livelli con inquinamento di crescente intensità). La relazione tra effetti sulla salute ed esposizione a inquinamento atmosferico è stata studiata per uomini e donne, confrontando ciascuna delle tre categorie con maggiore concentrazione di inquinanti con quella a minore concentrazione, tenendo conto dell’età e della condizione socio-economica della popolazione (indice di deprivazione)”.

Per il periodo 2001-2013 sono state seguite 144.019 persone, identificate con l’indirizzo di residenza. “Nei 12 comuni considerati, nelle aree a maggiore esposizione a inquinanti sono stati riscontrati eccessi di mortalità per tutte le cause (sia uomini che donne +49%) per malattie del sistema circolatorio (uomini +41%, donne +59%), dell’apparato respiratorio (uomini +90%, donne +62%), del sistema nervoso e degli organi di senso (uomini +34%, donne +38%) e per tumori del polmone tra gli uomini (+59%) – ha proseguito Bianchi – L’analisi dei ricoveri in ospedale ha fornito risultati coerenti con quelli della mortalità”.

I risultati ottenuti indicano che “anche considerando le diverse fonti inquinanti cui sono stati esposti i cittadini, ci sono stati forti eccessi di rischio di mortalità prematura e di ricovero ospedaliero per i residenti intorno alla centrale a carbone di Vado Ligure. L’esposizione alle emissioni è risultata associata a numerosi eccessi di mortalità e di ricovero in ospedale, in particolare per le malattie dei sistemi cardiovascolare e respiratorio, per i quali d’altra parte la dimostrazione scientifica di un legame con l’inquinamento atmosferico è più convincente – ha spiegato il ricercatore del CNR- Peraltro, i risultati conseguiti confermano le conoscenze pregresse, ma è la prima volta che viene effettuata una quantificazione del rischio, purtroppo molto alto. Le centrali per la produzione di energia alimentate a carbone rappresentano una fonte significativa di inquinanti atmosferici che impattano a livello locale e globale. Oltre alle note emissioni di biossido di carbonio (CO2), che contribuiscono al riscaldamento globale, ci sono quelle di biossido di zolfo (SO2), che sono associate a effetti dannosi per la salute”. In Italia, secondo gli ultimi dati forniti da Assocarboni sono tuttora attive 8 centrali elettriche a carbone sparse tra Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Sardegna:5 sono di proprietà dell’Enel, 2 di A2A, 1 della EP Produzione. 

La bozza di Piano Nazionale Integrato Energia e Clima  energia e clima al 2030 (PNIEC) esaminata dalla Commissione UE nel giugno scorso con le raccomandazioni in vista della stesura definitiva da presentare entro il 31 dicembre 2019, prevede la chiusura di tutti gli impianti a carbone entro il 2025, ma anche alla luce del Rapporto del CNR e al contributo ormai inferiori al 10% del fabbisogno elettrico italiano, si potrebbe accelerare sulla phase-out, anche perché senza sussidi pubblici sarebbero  in perdita.

Secondo l’analisi globale condotta da Carbon Tracker, think-tank britannico specializzato nell’analisi dei mercati delle fonti fossili, il 42% delle centrali a carbone lavora in perdita.

In Italia, alcuni di questi impianti (Sardegna e Puglia) sono considerati “essenziali per la sicurezza del sistema elettrico nazionale”, per cui la loro chiusura deve essere controbilanciata da un aumento considerevole degli investimenti nelle rinnovabili, senza dimenticare che devono essere garantite ai   lavoratori delle alternative o, in assenza, strumenti e misure di sostegno, quali pensioni anticipate o integrazioni al reddito, altrimenti si rischiano reazioni e resistenze contro le politiche climatiche e le tecnologie pulite.

Giova ricordare che Regione Sardegna ha impugnato di fronte al TAR regionale il Decreto del Direttore Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali del MATTM, che dà attuazione allo “scenario phase-out” del carbone dal sistema energetico nazionale, sostenendo che tale provvedimento produrrebbe effetti negativi per la sicurezza del sistema energetico regionale e per l’economia sarda nel suo complesso,

Sotto questo aspetto, la Sardegna potrebbe costituire, come abbiamo osservato in altra occasione, un caso emblematico di mancata o applicata “Just transition”.

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