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La manutenzione del territorio deve essere ordinaria non già emergenziale

manutenzione del territorio ordinaria non emergenziale

Dopo ogni evento che si manifesta in modo drammatico e ricorrente nel nostro Paese ci si accorge del deficit di manutenzione del territorio, una delle principali cause di dissesto idrogeologico che l’aumento degli eventi meteorologici estremi per effetto dei cambiamenti climatici in atto tenderà ad enfatizzare.

La recente alluvione che ha colpito la Regione Marche, in particolare la città di Senigallia ha avuto quale causa scatenante un evento meteorologico: la concentrazione di precipitazioni diffuse e durature in un arco di tempo di 36 ore tra il 2 e il 4 maggio 2014. Bisogna osservare, però, che la quantità di pioggia non è stata eccezionalmente intensa. Alla stazione pluviometrica di Roncitelli (Senigallia), si sono registrati 64 mm, seppur concentrati quasi completamente nella giornata del 3 maggio, mentre il picco regionale con 127 mm si è avuto a Serra de’ Conti, nella zona collinare della bacino idrografico del Misa che sfocia in Adriatico proprio a Senigallia. Sono stati superati i 100 mm anche a San Lorenzo in Campo (PU), comune collinare della valle del fiume Cesano, che dà il nome all’omonima frazione di Senigallia, che è esondato. 

Il fatto è che le precipitazioni  sono cadute su un territorio che già nel novembre 2013 aveva subito straripamenti di fiumi e torrenti e, successivamente, nel corso del 1° quadrimestre del 2014 sono intervenute frequentemente, con quantità quasi doppie rispetto alle medie del periodo. Pertanto, la pioggia caduta nei primi giorni del corrente mese è andata a riversarsi su terreni già saturi di acqua, con scarsa capacità di assorbimento.

Così, si sono verificati diffusi fenomeni di ruscellamento che hanno riversato, riversando acqua e fango nei torrenti e fiumi, stante le caratteristiche di peculiarità collinare della regione Marche, causando frane, smottamenti e allagamenti che hanno interessato l’intero territorio regionale, con conseguenti pesanti disagi per la popolazione, che hanno avuto il culmine drammatico con vittime a Senigallia.

Eppure, Senigallia nell’ultima indagine di Ecosistema Rischio 2013 di Legambiente, diffusa in febbraio 2014 e svolta per monitorare l’attività di mitigazione dei Comuni italiani classificati a rischio idrogeologico e collegata alla X edizione di “Operazione Fiumi 2013”, aveva ottenuto un punteggio di 8, conseguente la più che buona valutazione complessiva di 15 parametri predefiniti e relativi all’Urbanizzazione del Territorio, alla Gestione del Territorio, all’Allertamento e Pianificazione. Ciò nonostante, non si è evitata la tragedia. Evidentemente c’è bisogno di una pianificazione delle azioni di mitigazione degli meteorologici estremi, sempre più diffusi per effetto dei cambiamenti climatici in atto, ben più ampia del livello comunale. 

Dopo ogni calamità naturale che si manifesta drammaticamente in modo ricorrente nel Paese, come abbiamo testimoniamo in altra analoga evenienza, si invoca l’attenzione, troppo spesso distratta nella quotidianità, alle dimensioni impressionanti del deficit di manutenzione che il nostro territorio ha dovuto registrare, e che è sicuramente una delle principali cause dei fenomeni di dissesto idrogeologico, sempre più affidata ad interventi urgenti, per lo più emergenziali, in luogo di una organica politica di prevenzione.

Curato dalla Sezione Urbanistica di CAIRE (Cooperativa Architetti e Ingegneri) per conto dell’UNCEM (Unione Nazionale Comuni e Comunità Montane), un recentissimo Documento (La manutenzione del territorio condizione necessaria della sicurezza e della qualità ambientale) prende in esame alcuni aspetti (anche storici ed economici) del rapporto tra dinamiche degli agenti naturali e modi di uso antropico del territorio.
Vi si legge: “Se intendiamo la manutenzione come attività continuativa e diffusa per ripristinare, migliorare e garantire la piena funzionalità del territorio dobbiamo in primo luogo identificare i sistemi territoriali e chiederci in quale stato essi si trovano in relazione alle funzioni che desideriamo essi assolvano e agli obiettivi condivisi ad essi assegnati. 

L’attività di manutenzione, così intesa, diviene strumento fondamentale dell’equilibrio tra l’evoluzione dei fenomeni naturali e le attività antropiche, che risente degli effetti globali del cambiamento climatico non meno che degli effetti locali della urbanizzazione e dell’abbandono.

Una attività di manutenzione che agisca coniugando obiettivi di sicurezza, qualità ambientale e del paesaggio, come requisiti imprescindibili e autentica misura delle effettive condizioni di benessere e di qualità della vita e della sostenibilità efficiente nella gestione delle risorse e del suolo.

Per questo la manutenzione non può essere confinata ad un insieme di interventi puntuali e circoscritti per la riparazione di situazioni locali compromesse, ma richiede un approccio unitario e una visione integrata e multi-disciplinare delle dinamiche dei fenomeni naturali ed antropici che caratterizzano il bacino, da intendere come ecosistema unitario di riferimento.

Un approccio per una manutenzione che sviluppi una attività sistematica di cura dell’ambiente (che ragioni su indicatori di risultato) da parte degli attori sociali della tradizione e della innovazione rurale: le aziende agricole vecchie e nuove, le agenzie rurali, i parchi naturali, le cooperative sociali e di comunità, le forme consortili, le filiere dei prodotti agricoli, le filiere del benessere, le filiere della sicurezza, della manutenzione, della biodiversità”. 

Ovviamente, il presupposto è che ci siano investimenti pubblici. Ma questa è un’altra storia.

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