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Italia condannata di nuovo dalla Corte di Giustizia UE

Italia condannata dalla Corte di Giustizia UE

Passata in sordina questa bocciatura dell’Italia che non riesce ancora ad adeguarsi ai tempi e alle modalità previsti dalla Direttiva del 1991 e che rischia ora pesanti sanzioni finanziarie, aggiungendo un’ulteriore conferma di essere il Paese membro “maglia nera” per le inadempienze alle normative comunitarie.

Dopo 15 anni dal “pieno” e “travagliato” recepimento della Direttiva 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue con il D.lgs. n. 152 dell’11 maggio 1999, e nonostante una precedente sentenza avesse già evidenziato violazioni e inadempienze rispetto a modalità e termini previsti dalla Direttiva, l’Italia è stata nuovamente condannata dalla Corte di Giustizia europea per non essersi ancora dotata di sistemi di raccolta delle acque reflue urbane e per garantire opportuni trattamenti per rimuovere le sostanze inquinanti.
La notizia non ha avuto una eco adeguata sui media, ma quest’altra condanna potrebbe avere delle ripercussioni economiche pesanti con multe fino a 700 milioni di euro all’anno, oltre ad aggiungere un ulteriore tassello all’immagine del Paese “maglia nera” per inadempienze con 114 procedure di infrazioni tuttora aperte.

Se la sentenza del 19 luglio 2012 (causa C-565/10) riguardava il mancato trattamento delle acque reflue urbane in 475 agglomerati urbani con oltre 15.000 abitanti, (anche alcune grandi), ora la Corte con la sentenza del 10 aprile 2014 (causa C-85/13) ci ha condannato per 41 agglomerati sopra i 10.000 (8 dei quali in Lombardia, mentre gli altri sono sparsi un po’ in tutte le regioni), dando ragione nuovamente alla Commissione UE che ci aveva deferito per ulteriori violazioni agli obblighi previsti.

La Direttiva in questione è uno dei principali strumenti delle politiche europee delle risorse idriche e la sua piena attuazione è condizione preliminare per il raggiungimento degli obiettivi ambientali stabiliti dalla Direttiva 2000/60/CE (Water Framework Directive ovvero Direttiva Quadro sulle Acque) e dalla Direttiva 2008/56/CE (Marine Strategy Framework Directive ovvero la Direttiva Quadro sulla Strategia per l’Ambiente Marino).
Il suo principale obiettivo è di garantire la protezione dell’ambiente dalle conseguenze negative dello scarico di acque reflue delle aree urbane (centri urbani di grandi/piccole dimensioni) e di acque reflue industriali biodegradabili provenienti dal settore agroalimentare (ad es. industria del latte, industria delle carni, birrerie, ecc.).
Inoltre, prevede la corretta raccolta delle acque reflue e disciplina gli scarichi di acque reflue, specificando il tipo minimo di trattamento da effettuare e definendo valori limite massimi per le emissioni o le principali sostanze inquinanti (carico organico e nutrienti). Delle date indicavano i tempi entro i quali gli Stati avrebbero dovuto garantire la presenza di adeguate reti fognarie per le acque reflue urbane:
– il 31 dicembre 2000 per gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti (intesi come il carico organico biodegradabile, avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni di 60 g di ossigeno al giorno) superiore a 15000;
– il 31 dicembre 2005 per quelli con numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000, così come prevede che siano sempre gli Stati membri a provvedere affinché le acque reflue urbane siano sottoposte, prima dello scarico, a un trattamento secondario (quello che avviene mediante un processo che comporta il trattamento biologico con sedimentazioni secondarie) o ad un trattamento equivalente mediante un processo che comporta il trattamento biologico con sedimentazioni secondarie, mentre per trattamento appropriato si deve intender quello che avviene dopo lo scarico e che garantisce la conformità delle acque recipienti ai relativi obiettivi di qualità.
L’Italia è stata condannata anche in relazione alla progettazione, costruzione, gestione e manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane di alcuni agglomerati, realizzati per ottemperare ai requisiti fissati dagli articoli da 4 a 7, che non garantiscono viceversa prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e che la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico.

Poiché i processi per il trattamento delle acque reflue prevedono però investimenti e costi rilevanti, la Commissione UE ha messo in atto strumenti di co-finanziamento per supportare le soluzioni dei Paesi membri, tra cui il Programma LIFE, nell’ambito del quale è stato finanziato il Progetto SHOWW (puShing aHead with field implementatiOn of best fitting WasteWater treatment and management solutions).
Il progetto, guidato dal Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Firenze, ha come obiettivo principale l’individuazione di una serie di soluzioni innovative, (tecniche e gestionali), già sperimentate nell’ambito di Life, e divulgarle nel nostro Paese ad aziende di gestione, amministratori pubblici, industrie, professionisti, fornitori di tecnologie e tutti colori che operano nel settore della depurazione delle acque reflue, urbane e industriali, per aiutarli a pianificare impianti perfettamente adatti alle loro necessità.

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