In occasione della Giornata mondiale del tonno, il Pew Charitable Trusts ha diffuso un report in cui si stima in oltre 42 miliardi di dollari il contributo annuo di questo pesce all’economia globale. Gli esperti hanno preso in esame le sette specie di tonno più importanti e hanno calcolato che ai pescatori è stata pagata complessivamente una somma annuale tra i 10 e i 12 miliardi di dollari.
Il tonno fa bene all’economia mondiale. A riferirlo è la Pew Charitable Trusts (associazione non governativa fondata nel 1948) in occasione della Giornata mondiale del tonno, che si è tenuta il 2 maggio scorso. Secondo il report dell’associazione che ha preso in esame le sette specie di tonno più consumate commercialmente nel 2012 e nel 2014, infatti, l’intero valore sull’economia globale (compresa la vendita ai consumatori finali), ha fruttato un profitto di 42,2 miliardi nel 2014, mentre i pescatori sono stati retribuiti con somme tra i 10 e i 12 miliardi di dollari l’anno.
“Il valore del tonno a livello globale è superiore al prodotto interno lordo di almeno 108 Stati del mondo – ha dichiarato Amanda Nickson responsabile della Pew per la conservazione del tonno – Considerati i vantaggi per le economie costiere, esso rappresenta un bene che ogni governo dovrebbe impegnarsi a proteggere. Dato che non può essere allevato in cattività, viene pescato in mare aperto o intrappolato nelle tonnare. È il Pacifico l’oceano più fruttuoso in termini economici con un valore di 22 miliardi nel 2014 nell’industria del tonno. Tra le specie, quella più utilizzata, oltre che la più economica, è il tonnetto striato che viene usato nelle scatolette. Il tonno rosso del Mediterraneo è, invece, la specie più pregiata e costosa usata in molte ricette, che ha generato tra i 2 e 2,5 miliardi di dollari all’anno, ma in via di estinzione a causa dell’intensità della pesca che spesso non rispetta i periodi di fermo per la riproduzione”.
Dunque, se il tonno è alla base dell’economia di molte Nazioni, è anche vero che bisogna fare molta attenzione alla conservazione della specie che sempre più spesso è sovrasfruttata e rischia l’estinzione. “I benefici economici a breve termine dettano ovviamente le decisioni – ha concluso la Nickson – ma ci sarebbe molto più valore in una gestione responsabile e lungimirante. I governi che si occupano della supervisione dovrebbero rimuovere le barriere che bloccano l’adozione dei limiti di pesca suggeriti dalla comunità scientifica e utilizzare strumenti moderni di gestione”.