Green economy Inquinamenti e bonifiche

Il G20 deve passare dall’economia grigia a quella verde

G20 deve passare da economia grigia a verde

Il Rapporto di Climate Transpirency, pubblicato alla vigilia del vertice cinese (4-5 settembre 2016), ha preso in esame una serie di indicatori dell’azione climatica dei Paesi che ne fanno parte per verificarne le credenziali “green” e la coerenza con gli impegni assunti nell’Accordo di Parigi.

I Paesi del G20 devono compiere sforzi maggiori per passare a un’economia verde, a basse emissioni di carbonio, in particolare nelle aree di espansione energetica e a carbone, anche se stanno iniziando ad incamminarsi nella giusta direzione.

Sono le conclusioni del Rapporto “Brown to Green: Assessing the G20 transition to a low-carbon economy” pubblicato il 1° settembre 2016 a Pechino alla vigilia del G20 cinese  (Hangzhou, 4-5 settembre 2016) da Climate Traspirancy (ONG globale con la missione condivisa di stimolare un’ambiziosa azione per il clima attraverso  una maggiore trasparenza) e realizzato da un prestigioso gruppo di Istituti di ricerca (Germanwatch,New Climate InstituteClimate Action Tracker,Humboldt -Viadrina Governance PlatformOverseas Development Institute). 

Il Rapporto valuta le credenziali “verdi” di ogni singolo Paese, attraverso l’analisi di una serie di indicatori dell’azione climatica, tra cui l’attrattività degli investimenti, gli investimenti nelle energie rinnovabili, la politica climatica, l’intensità di carbonio nei settori dell’energia elettrica e nell’economia, i sussidi ai combustibili fossili e il contributo al finanziamento per l’azione climatica.

Gli effetti dei cambiamenti climatici a cui stia già assistendo, ricorda Climate Transparency, sono la conseguenza di un aumento delle emissioni globali di gas ad effetto serra, salite tra il 1990 e il 2013 del 56%, per le quali i Paesi del G20 sono responsabili del 75%. Secondo i dati preliminari dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) nel 2014 e 2015 sono risultate stabili, ma se la temperatura globale deve essere mantenuta, secondo l’Accordo di Parigi, “ben al di sotto dei +2 °C, perseguendo gli sforzi per limitarla a +1,5 °C”, le emissioni del G20 dovranno essere drasticamente ridotte.

Il G20 ha dimostrato che è in grado di agire questioni economiche, per cui ci aspettiamo che i Paesi che ne fanno parte vogliano intraprendere un’azione decisiva anche per quanto concerne il clima – ha dichiarato Alvaro Umaña, ex Ministro dell’Ambiente e dell’Energia del Costa Rica e co-Presidente di Climate Transpirency – Il nostro Rapporto indica che mentre il picco delle emissioni globali è già stato raggiunto, non c’è ancora la dinamica necessaria per trasformare l’economia basata sui combustibili fossili  da ‘marrone’ in ‘verde’. Il G20 si trova ora di fronte alla grande opportunità di attuare questa transizione e di fornire al mondo l’energia necessaria a prezzi accessibili per le persone più povere e stimolare le economie“.

In particolare, secondo il Rapporto, i Paesi del G20 devono agire rapidamente per frenare l’espansione della produzione di energia elettrica a carbone, perché se dovessero proseguire i progetti quali quelli previsti in alcune economie in rapido sviluppo come Sud Africa (69% di produzione energetica da impianti a carbone) Cina (68%) e India (45%), ma anche nei Paesi industrializzati come Australia (37%), Germania (26%) e Giappone (25%), l’intensità di carbonio del settore energetico del Gruppo raddoppierebbe, rendendo “praticamente impossibile” limitare il riscaldamento globale a meno di 2 °C, per non parlare di 1,5 °C.

In tema di attrattività degli investimenti nelle energie rinnovabili e in efficienza energetica, Cina, India, Francia, Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno dimostrato le migliori performance, anche se il rating di Francia, Germania e Gran Bretagna sono attualmente a rischio. I risultati peggiori sono quelli di Russia, Arabia Saudita e Turchia.

Per quanto attiene agli impegni per il clima (INDCs) i Paesi del G20  sono ancora lontani dall’obiettivo, tanto che per centrarlo la riduzione delle emissioni legate all’energia dovrebbero essere moltiplicate per 6 rispetto a quanto promesso  finora. Quasi tutti hanno introdotto politiche di risparmio energetico nel settore edilizio e hanno standard di emissioni per le auto. Tutti hanno regimi di sostegno per le energie rinnovabili e più della metà dispone di uno schema di scambio delle emissioni o di una carbon tax. Solo la metà, però, ha sviluppato piani di decarbonizzazione a lungo termine e 11 Paesi hanno un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra al 2050.

Ci sono buone notizie sul fronte delle energie rinnovabili che nei Paesi del G20 sono aumentate dal 2008 del 18%, con Brasile, Canada, Italia, India, Sud Africa, Turchia e Unione europea. L’unico Paese del G20 in cui si è registrata una flessione è stato il Messico. Tuttavia, per essere in linea con la traiettoria di un aumento di 2 °C della temperatura alla fine del secolo, gli investimenti nel solo settore energetico dovrebbero essere raddoppiati entro il 2035, rispetto ai livelli del periodo 2000-2013.

Nonostante il G20 abbia ripetutamente affermato l’impegno a rimuovere i sussidi ai combustibili fossili,  di fatto sono continuati e sono risultati ben superiori a quelli impegnati per le azioni di adattamento e mitigazione del clima.

Le emissioni pro-capite correlate alla produzione energetica sono attualmente nei Paesi del G20 a 5,7 tonn/an. , ma per tenere sotto controllo l’obiettivo di 2 °C devono ridursi entro il 2050 a 1-3 tonn. per persona.

I Paesi del G20 stanno utilizzando le risorse energetiche in modo più efficiente rispetto al passato. L’intensità energetica e quella del carbonio sono in calo in tutte le economie, ma non abbastanza da compensare l’aumento delle attività economiche.

Tra i Paesi del G20 ci sono i maggiori donatori di finanziamenti per il clima, forniti attraverso canali bilaterali e multilaterali. Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti  sono passati dai 1,2 miliardi di dollari del 2013 alla previsione di 8,4 miliardi nel 2014, tuttavia i contributi sono modesti rispetto ai rispettivi PIL. Risultano più alti in rapporto al PIL per Giappone (0,18%) e Francia (0,12%), mentre sono assai modesti per Canada (0,0008%), Australia (0,001%) e Italia (0,0003%). 

Il Paese ospitante il G20, la Cina, ha sottolineato l’urgenza della questione climatica. La nostra valutazione mostra che la Cina sta agendo più di molti Paesi. L’assunzione di una sua leadership climatica al vertice potrebbe contribuire a indirizzare il mondo sulla strada giusta per metterlo al sicuro dalle peggiori devastazioni di cambiamenti climatici – ha sottolineato Peter Eigen , ex Dirigente della Banca Mondiale e co-Presidente di Climate Transpirency –  Il Rapporto fornisce informazioni comparabili e credibili sulle azioni per il clima del G20. La nostra valutazione indipendente deriva da una serie di soggetti coinvolti che sono portatori di diversi punti di vista, elemento questo che intendiamo continuare e ampliare in futuro”.

Per leggere la scheda completa dedicata all’Italia.

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