Secondo un Rapporto di Greenpeace Italia, la vendita al dettaglio del pesce fresco nel nostro Paese è spesso accompagnata da irregolarità nell’etichettatura e dalla mancanza di informazioni che potrebbero aiutare i consumatori a compiere scelte sostenibili.
A distanza di ben due anni dall’entrata in vigore dei Regolamenti europei n. 1169/2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e n. 1379/2013 sull’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti ittici, entrati in vigore entrambi nel 2014, un Rapporto pubblicato il 6 dicembre 2016 da Greenpeace Italia, rivela che la vendita al dettaglio del pesce fresco nel nostro Paese è spesso accompagnata da irregolarità nell’etichettatura e dalla mancanza di informazioni che potrebbero aiutare i consumatori a compiere scelte sostenibili.
“Muta come un pesce“, è questo il titolo del report che riassume i dati del monitoraggio compiuto dai volontari dell’Associazione ambientalista tra i mesi di luglio e settembre 2016 su 604 etichette applicate sui prodotti ittici in vendita in 106 punti vendita (54 supermercati; 34 pescherie; 18 bancherelle di mercati rionali) di 49 città di 13 regioni italiane, evidenzia “una grave mancanza di applicazione della legge, numerose irregolarità e una diffusa inadempienza da parte dei rivenditori italiani – si legge nel Comunicato stampa – Che tali carenze siano imputabili a una mancanza di conoscenza della normativa o a un’inadeguata formazione del personale, o peggio ancora, a una volontaria omissione delle informazioni, non spetta a Greenpeace stabilirlo. Di certo queste diffuse irregolarità sono indicative di una preoccupante carenza dei controlli da parte delle autorità competenti“.
Quasi l’80% delle etichette esaminate non rispetta infatti la normativa europea e farne le spese sono purtroppo i consumatori, cui viene negato il diritto all’informazione e alla trasparenza. L’immagine che emerge dei rivenditori italiani non è di certo confortante e non soddisfa le esigenze dei consumatori: gli italiani che vogliono fare delle scelte responsabili, devono essere messi nelle condizioni di poterle fare. È quindi urgente che anche nella vendita dei prodotti ittici si inizi a puntare sulla trasparenza, fornendo ai consumatori tutte le informazioni che spettano loro e offrendo sul mercato una varietà di pesce più ampia, che valorizzai chi pesca in modo sostenibile puntando su prodotti locali e di stagione.
Secondo le normative vigenti, in etichetta dovrebbe essere obbligatoria la presenza di informazioni come l’attrezzo di pesca utilizzato, l’esatta denominazione della zona o sottozona di cattura FAO, il nome scientifico e commerciale della specie e il metodo di produzione (pescato, allevato o pescato in acque dolci).
Dall’analisi dell’organizzazione ambientalista, invece, emerge che tra le informazioni obbligatorie è quasi sempre presente solo l’indicazione del nome commerciale; il nome scientifico è invece assente nel 34,1% per cento delle etichette analizzate; l’indicazione dell’attrezzo di pesca manca nel 36,3%; mentre l’indicazione della zona di cattura non è indicata correttamente nel 56,6% dei casi e sull’11% delle etichette esaminate è completamente assente.
Le maggiori irregolarità sono state riscontrate nei mercati rionali e nelle pescherie. Anche nei supermercati, per quanto migliore, la situazione è lontana dall’essere perfetta e le infrazioni registrate sono ancora troppo numerose.
“Solo conoscendo l’attrezzo di pesca e la zona di cattura esatta, i consumatori possono scegliere il pesce più sostenibile, ovvero quello locale catturato con metodi che hanno un minor impatto sull’ambiente – ha affermato Serena Maso, Campagna Mare di Greenpeace Italia –Compiere scelte responsabili non solo aiuta il mare, ma anche i piccoli pescatori locali, in forte crisi perché schiacciati da un mercato invaso dai prodotti provenienti soprattutto da pesca industriale e distruttiva“.
Greenpeace chiede maggiori controlli, più legalità e un’adeguata formazione del personale addetto alla vendita affinché le normative vigenti vengano rispettate. Inoltre, i punti vendita dovrebbero ampliare l’offerta dei prodotti sostenibili e puntare alla valorizzazione dei prodotti ittici artigianali e locali a basso impatto ambientale: un passo necessario per aumentare la qualità dell’offerta, contribuire alla salute del mare e sostenere chi lo rispetta.
“Avere un’etichetta chiara e completa, che ci dica dove e come è stato pescato un pesce è un diritto dei consumatori e un obbligo dei rivenditori – ha continuato la Maso – Serve maggiore responsabilità da parte di tutti, commercianti e consumatori. Dobbiamo imparare a consumare meno e meglio, e a pretendere le informazioni che ci servono per farlo“.