Una ricerca internazionale, coordinata dal Dipartimento di Energia dell’Università norvegese di Trondheim, indica che il fabbisogno globale di energia elettrica può essere soddisfatto dalle energie rinnovabili. Secondo lo Studio, che per la prima volta calcola la LCA complessiva della produzione di energia da fonti rinnovabili (sono lasciate fuori le bioenergie e il nucleare), l’unico motivo di preoccupazione, ma gestibile, potrebbe essere costituito dal maggior utilizzo di materie prime, soprattutto per il rame, da parte delle tecnologie low carbon.
Un’economia energetica globale a basse emissioni di carbonio non solo è fattibile, ma potrebbe anche raddoppiare la fornitura di energia elettrica entro il 2050, riducendo al contempo l’inquinamento atmosferico e idrico.
È questa la conclusione a cui giunge lo Studio condotto dal Dipartimento Energetico dell’Università norvegese di Scienza e tecnologia di Trondheim, con la collaborazione di altri ricercatori statunitensi, olandesi, cileni e cinesi.
Pubblicata sulla prestigiosa PNAS, la ricerca costituisce la prima valutazione globale, integrata, a lungo termine e su vasta scala del ciclo di vita (LCA) della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (fotovoltaico e solare termico, eolico e idroelettrico) e della cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) per la produzione di energia fossile, lasciando fuori altre fonti rinnovabili: come le bioenergie, la conversione di mais, canna da zucchero o altre colture per l’estrazione di etanolo per il carburante, perché avrebbe richiesto anche una valutazione globale del sistema alimentare; e l’energia nucleare, perché non ritenuta del tutta pulita con “risultati di valutazione contrastanti”.
“La decarbonizzazione della produzione di energia elettrica è in grado di supportare la mitigazione dei cambiamenti climatici e presenta l’opportunità di affrontare l’inquinamento derivante dalla combustione dei combustibili fossili – si legge – Anche se, in generale, le tecnologie rinnovabili richiedono elevati investimenti iniziali in infrastrutture rispetto ai sistemi di alimentazione da fossili, gli impianti fotovoltaici richiedono fino al 40% in più di rame delle centrali elettriche convenzionali e l’energia eolica utilizza fino a 14 volte in più di ferro, il mondo è in grado di superare la transizione alle energie con basse emissioni di carbonio”.
Altri studi hanno esaminato i costi singolarmente in termini di salute, emissioni inquinanti, cambiamenti di uso dei suoli o di consumo dei metalli, ma questa ricerca ha preso in considerazione la totalità delle questioni, dalla domanda di metalli alle esposizioni al particolato, dall’ecotossicità degli ecosistemi all’eutrofizzazione delle acque, dai cambiamenti climatici, dagli scenari di azioni di mitigazione (BLUE map) a quelli business-as-usual al 2050 dell’IEA.
È stato valutato anche l’impatto delle future centrali sull’uso del suolo e le detrazioni per i vantaggi economici di aumentare la quantità di energia rinnovabile per l’estrazione e la raffinazione dei minerali necessari per rendere l’energia ancora più rinnovabile.
“Abbiamo utilizzato un vintage stock model per condurre una LCA di anno in anno in nuova capacità installata per ogni regione, che rappresenta quindi le variazioni del mix energetico utilizzato per la produzione di future centrali – sottolineano i ricercatori – Secondo lo scenario di riferimento base le emissioni di inquinanti atmosferici ed idrici saranno più che doppie, mentre le tecnologie low-carbon introdotte nello scenario Blue Map consentiranno un raddoppio della fornitura di energia elettrica, stabilizzando o addirittura riducendo l’inquinamento”.
Dei due scenari contemplati, uno prevede l’aumento del 134% della produzione mondiale di elettricità entro il 2050, con i combustibili fossili che rappresentano i due terzi del totale, l’altro vede la domanda di energia elettrica nel 2050 salire del 13% per il minor consumo di energia, perché diventa più efficiente.
In merito all’aumento della domanda dei metalli utilizzati nelle tecnologie low-carbon, l’unica materia prima che potrebbe destare preoccupazioni è il rame, ma, secondo i ricercatori, è facilmente superabile, poiché la quantità di metallo necessaria per costruire i sistemi fotovoltaici entro il 2050 costituiscono solo la produzione di 2 anni dell’attuale estrazione.
“Perseguire la mitigazione del clima limiterà l’impatto sulla salute umana dell’inquinamento atmosferico – ha osservato Edgar Hertwich, principale autore dello Studio – Continuare con il business-as-usual lo farà aumentare”.