L’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e Acque Irrigue e l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno chiedono interventi urgenti ma strutturali per le emergenze idriche stante una situazione sempre più preoccupante che non può essere limitarsi alle insufficienti risorse allocate nel PNRR.
“Conservare l’acqua per rispondere al grido d’aiuto dei territori”: è questo il tema su cui ANBI (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e Acque Irrigue) e Svimez (l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) hanno organizzato una call in action, a cui hanno partecipato Sindacati, Utilitalia, Autorità di Bacino Distrettuale che si sono confrontati con rappresentanti di Governo e Parlamento, per la presentazione di un emendamento alla prossima Legge di Bilancio per destinare maggiori risorse alla gestione idraulica del territorio.
“Non ci si può rassegnare ai 520 milioni previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), quando i soli Consorzi di bonifica ed irrigazione hanno avuto ammessi a finanziamento progetti definitivi per oltre 1 miliardo e 620 milioni – ha affermato Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI – È necessario trovare altre risorse, ad iniziare dal Fondo Sviluppo e Coesione, anche per colmare il gap infrastrutturale fra Nord e Sud del Paese”.
In Italia, le calamità naturali provocano mediamente danni per 7 miliardi di euro, di cui 1 a carico delle attività agricole. Come ha evidenziato il Rapporto dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, nel decennio 2011-2020 in Italia si sono verificatiben 946 fenomeni meteorologici estremi che hanno interessato 507 comuni, causando 251 vittime e 50.000 sfollati. Di tali eventi estremi 118 eventi si riferiscono ad allagamenti da piogge intense con annesse frane.
“Tra le concause – ha sottolineato il Presidente di ANBI – c’è l’inarrestabile consumo di suolo, contro il quale ribadiamo la necessità di approvare la legge, che giace da anni nei meandri parlamentari”.
L’Italia è il primo Paese europeo per superficie urbanizzata (2.100.000 ettari, pari al 7,11% del territorio) ad un ritmo di 2 metri quadri al secondo (14 ettari al giorno), di cui il 16,7% è in aree ad elevato rischio alluvione ed il 5,2% a pericolo di frana. L’ultimo Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici di ISPRA-SNPA, pubblicato lo scorso luglio, ha rilevato che nelle aree a pericolosità idraulica la percentuale è del 9% quelle a pericolosità media e del 6 % quelle a pericolosità elevata. Il confronto tra i dati 2019 e 2020 mostra che 767 ettari del consumo di suolo annuale si sono concentrati all’interno delle aree a pericolosità idraulica media e 285 in quelle a pericolosità da frana, di cui 20 ettari in aree a pericolosità molto elevata (P4) e 62 a pericolosità elevata.
“Essere passati in pochi anni dalle bombe d’acqua alle tempeste ed ora agli uragani non solo accentua l’inadeguatezza della nostra rete idraulica all’emergenza climatica, ma pregiudica lo sviluppo economico del Paese – ha aggiunto Massimo Gargano, Direttore generale di ANBI – Un territorio idrogeologicamente insicuro non incentiva gli investimenti”.
Una gestione unitaria dell’acqua per uso irriguo e civile; una governance condivisa tra le autorità competenti degli investimenti previsti dal PNRR al Sud; un piano di esecuzione degli interventi affidato alle strutture preposte sul territorio, a patto di dotare le PA locali di personale qualificato, con un monitoraggio nazionale dotato di effettivi poteri sostitutivi, sono state le 3 proposte lanciate dal Direttore della Svimez Luca Bianchi.
“Il Mezzogiorno può essere il laboratorio sperimentale per la bioeconomia e le nuove tecnologie – ha sottolineato Bianchi – laddove proprio in quest’area si stanno manifestando, sul versante idrico, maggior frequenza e intensità di eventi climatici estremi”. Secondo il Direttore Svimez, il tema resta quello della messa a terra delle politiche, dopo che le prime criticità si sono avute col bando per la realizzazione di interventi irrigui, con una risposta asimmetrica dei territori.
In Italia, dal 2013 al 2019 ci sono state 87 dichiarazioni di stato d’emergenza per eventi idrogeologici con oltre 11 miliardi e 426 milioni di danni; gli importi realmente ristorati al territorio, però, superano di poco i 959 milioni, cioè meno del 10%.
“Oggi è il tempo delle scelte di fronte alla crisi climatica e, come dimostrano le cifre, la soluzione non sono le dichiarazioni di calamità – ha concluso Vincenzi – È indispensabile che la rete idraulica sia concretamente considerata al pari delle altre infrastrutture strategiche del Paese ad iniziare da un Piano Invasi, come quello lanciato nel 2017 da ANBI, per realizzare bacini medio-piccoli in tutto il Paese. È un disegno ancora di straordinaria attualità e utilità per l’ambiente, la falda, il potabile, le imprese.”