Secondo la Corte dei conti europea (ECA), gli Stati membri non valutano sempre il consumo iniziale di energia, i potenziali risparmi energetici e le esigenze di investimento quando istituiscono programmi finanziati dall’UE per l’efficienza energetica degli edifici. Inoltre, le autorità nazionali non riescono a incentivare le ristrutturazioni profonde, ad esempio assegnando loro tassi di aiuto più elevati. Tra i Paesi bocciati l’Italia (Puglia).
I finanziamenti pubblici a misure di efficienza energetica nell’edilizia abitativa vengono assegnati senza che il rapporto costi-benefici sia un fattore determinante.
È questa in estrema sintesi l’assunto della Relazione speciale “Efficienza energetica degli edifici: permane la necessità di una maggiore attenzione al rapporto costi-benefici”, pubblicata il 28 aprile 2020 dalla Corte dei Conti europea (ECA).
Nonostante gli orientamenti forniti dalla Commissione europea siano migliorati, osserva i revisori, i progetti finanziati dall’UE non puntano ancora a conseguire il maggior risparmio energetico possibile per ogni euro investito. Secondo la Corte, il contributo globale dei finanziamenti UE agli obiettivi di efficienza energetica dell’Unione non è chiaro.
Posti di fronte alla sfida di mitigare i cambiamenti climatici, i leader dell’Unione europea si sono impegnati a ridurre il consumo energetico previsto degli Stati membri dell’UE del 20 % entro il 2020 e del 32,5 % entro il 2030. Tuttavia, è improbabile che gli Stati membri raggiungano l’obiettivo UE 2020, poiché il consumo di energia dell’UE è di nuovo in aumento dal 2014. Dati provenienti da Eurostat (febbraio 2020) mostrano che nel 2018 il consumo di energia primaria negli Stati membri dell’UE è stato del 4,9% superiore agli obiettivi del 2020.
Gli edifici, in particolare quelli residenziali, consumano la quota più consistente di energia. Solo per il riscaldamento e la produzione di acqua calda le famiglie consumano il 79% del totale di energia finale. Tale settore riveste, pertanto, un ruolo cruciale nel conseguimento degli obiettivi dell’UE in termini di risparmio energetico.
Per il periodo 2014-2020, l’UE ha stanziato circa 14 miliardi di euro al miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, di cui 4,6 miliardi sono destinati agli edifici residenziali. A questa somma si aggiungono 5,4 miliardi di euro di cofinanziamenti nazionali stanziati dagli Stati membri per miglioramenti relativi ai vari tipi di edifici, compresi 2 miliardi di euro circa per gli edifici residenziali.
I revisori hanno visitato 5 Stati membri (Bulgaria, Repubblica Ceca, Irlanda, Italia (Puglia) e Lituania), che hanno stanziato circa 2,9 miliardi di euro dei fondi della loro politica di coesione per l’efficienza energetica negli edifici, selezionati in base all’importo speso nel campo dell’efficienza energetica e secondo una logica di equilibrio geografico. Per quanto riguarda 3 Paesi (Repubblica Ceca, Italia e Lituania), la Corte ha anche dato seguito a una precedente audit del 2012 per valutare in che misura erano state attuate le raccomandazioni di tale audit.
La principale questione dell’attuale valutazione era se gli investimenti nell’efficienza energetica cofinanziati dall’UE negli edifici fossero stati selezionati usando criteri che probabilmente avrebbero potuto massimizzare la loro efficacia in termini di costi come richiesto dalla Direttiva sull’efficienza energetica del 2012. La risposta a questa domanda è negativa e nella relazione i revisori spiegano cosa è andato storto nei progetti finanziati dall’UE. Inoltre, le autorità nazionali non riescono a incentivare le ristrutturazioni profonde, ad esempio assegnando loro tassi di aiuto più elevati.
Ricordiamo che nuova Direttiva sulla prestazione energetica degli edifici (2018/844/UE) denominata Direttiva EPD III (Energy Performance of Buildings Directive), che fa parte del Pacchetto di misure legislative adottato a livello europeo (Clean Energy Package) che fissa il quadro regolatorio per il raggiungimento dei nuovi obiettivi europei al 2030 in materia di energia e clima e che ha nell’approvazione da parte degli Stati membri la Strategia di ristrutturazione a lungo termine la sua principale novità, avrebbe dovuto essere trasposta nelle legislazioni nazionali entro il 10 marzo 2020.
In Italia, lo schema di D.lgs. di recepimento approvato nel gennaio scorso dal Consiglio dei Ministri, sul quale peraltro hanno espresso “delusione” le Associazioni Renovate Italy, Kyoto Club e Legambiente, ha avuto il via libera dal Parlamento il 23 aprile 2020.
Trattandosi di un audit sulle prestazioni, i membri della Corte incaricati non erano alla ricerca di frodi o mancata applicazione legislativa, bensì sull’inosservanza degli orientamenti su vari aspetti della questione indicati dalla Commissione.
“Migliorare l’efficienza energetica degli edifici è fondamentale affinché l’UE onori l’impegno assunto di ridurre il consumo energetico – ha dichiarato João Figueiredo, il Membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione – Ciò significa che le risorse dell’UE devono essere destinate, in via prioritaria, a progetti che apportano risparmi energetici e altri benefici all’insegna dell’efficienza”.
La Corte critica le autorità nazionali degli Stati membri per non aver destinato i fondi dell’UE ai progetti più idonei a realizzare risparmi energetici. Non sempre esse valutano il consumo energetico iniziale, il potenziale risparmio energetico e gli investimenti necessari al momento di stabilire i programmi finanziati dall’UE. Inoltre, le autorità nazionali non incentivano ristrutturazioni profonde concedendo, ad esempio, a queste ultime tassi di aiuto più elevati, bensì erogano perlopiù sovvenzioni al 100 %, indipendentemente dal risparmio energetico atteso. Ne consegue che, per alcuni progetti, il finanziamento dell’UE è stato utilizzato per semplici miglioramenti (come l’installazione di un sistema di illuminazione LED) che avrebbero potuto essere realizzati anche senza il sostegno dell’UE.
Nonostante le autorità nazionali richiedano spesso audit energetici e attestati di prestazione energetica per valutare gli investimenti, la Corte osserva che non se ne avvalgono per selezionare i progetti. Nella maggior parte dei casi, assegnano sovvenzioni ai progetti in base all’ordine di ricevimento degli stessi, senza confrontarne i costi e benefici relativi. Ciò aumenta il rischio di finanziare progetti in grado di generare risparmi energetici limitati in proporzione ai costi, specie quando non viene applicato alcun massimale al costo per unità di energia risparmiata. Non essendo misurato il rapporto costi-benefici degli investimenti, la Corte conclude, inoltre, che non è possibile sapere quanta energia sarà risparmiata investendo negli edifici residenziali un totale di 6,6 miliardi di euro della spesa pubblica relativa al periodo 2014-2020.
In particolare, il follow-up in Italia (Puglia), come nel precedente audit per il periodo 2007-2013, ha mostrato una mancanza di valutazione delle necessità, non identificando i settori specifici in cui si potevano ottenere risparmi energetici e le diverse opzioni per conseguirli in modo efficiente, in modo di giustificare le misure scelte e il loro costo.
“In Italia (Puglia) – si legge tra l’altro nella relazione – l’assenza di un massimale di costo per unità di energia risparmiata ha fatto sì che venissero finanziati diversi progetti costosi, da cui deriverà un risparmio energetico troppo esiguo per ripagare gli elevati costi di investimento iniziale nell’arco della durata di vita dei materiali utilizzati o degli edifici stessi”.

“In Italia (Puglia) l’autorità di gestione si è avvalsa di una procedura di gara e ha applicato un criterio legato al rapporto costi-benefici dei risparmi energetici – prosegue l’ECA – Questo approccio avrebbe dovuto consentire di considerare prioritari i progetti che permettevano di risparmiare più energia a un costo inferiore. Ciò non ha comunque impedito di finanziare anche progetti che offrivano risparmi energetici modesti in proporzione al loro costo”.
Per garantire che fossero intraprese le azioni necessarie a
promuovere investimenti efficienti, la Commissione ha richiesto agli Stati
membri l’adempimento di una specifica condizionalità ex ante entro l’avvio del
periodo di programmazione 2014-2020. Le azioni da adottare ai fini di questo
adempimento consistevano in una serie di misure:
a) introduzione di requisiti minimi
relativi alla prestazione energetica nell’edilizia;
b) istituzione di un sistema di
certificazione della prestazione energetica degli edifici;
c) pianificazione strategica in materia
di efficienza energetica; d) fornitura agli utenti finali di
contatori individuali.
Tutti gli Stati membri visitati avevano posto in essere le azioni suindicate sin dall’inizio del periodo di programmazione 2014-2020, ad eccezione dell’Italia che ha intrapreso le azioni solo nel 2017.
Per quanto riguarda la prossima
generazione di programmi, la Corte formula alcune raccomandazioni per
accrescere l’efficienza della spesa dell’UE in questo settore. In particolare,
la Corte raccomanda di:
– pianificare gli investimenti e
renderli più mirati;
– attuare procedure di selezione dei
progetti;
– monitorare i progressi compiuti verso
il raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di efficienza energetica.