Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.Design hanno presentato “Design Economy 2022”, il Rapporto che testimonia come il settore, pur avendo risentito degli ultimi due anni crisi, continua ad essere un elemento fondamentale di identità per il Made in Italy, in settori che vanno dal classico arredamento all’automotive, dall’abbigliamento alla comunicazione, con un totale di 30 mila imprese che generano un valore aggiunto pari a 2,5 miliardi di euro e occupano 61 mila addetti.
“Sono passati cinquanta anni dalla mostra “The New Domestic Landscape” al MoMA di New York […], pietra miliare nella storia del made in Italy che ha segnato la nascita nato il design italiano. Cinquant’anni dopo, nel pieno di una transizione ecologica e digitale, accelerata dalla pandemia, il design, anche quello italiano, è chiamato nuovamente a dare forma, senso e bellezza al futuro. Molti aspetti della nostra vita, così come molti settori, cambieranno, dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera, arrivando ai prodotti che, in un contesto di risorse sempre più scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, ricondizionabili, riutilizzabili”.
Così si legge nella Premessa al “Design Economy 2022”, il Rapporto annuale di Fondazione Symbola, Deloitte Private Leader e POLI.Design, in collaborazione con ADI (Associazione per il Disegno Industriale), Logotel, CUID, Comieco e AlmaLaurea, e presentato il 20 aprile 2022.
Il settore conta 30 mila imprese che hanno generato nel 2020 un valore aggiunto pari a 2,5 miliardi di euro con 61 mila occupati. Le imprese si distribuiscono su tutto il territorio nazionale, con una particolare concentrazione nelle aree di specializzazione del Made in Italy e nelle regioni Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto, dove si localizza il 60% delle imprese. Tra le provincie primeggiano Milano (15% imprese e 18% valore aggiunto nazionale) Roma (6,7% e 5,3%), Torino (5% e 7,8%). Le imprese operano per il 44% all’estero (8,9% extra EU), per il 45% su scala nazionale, mentre per il 10,8% su scala locale.
“Nel pieno di una transizione verde e digitale accelerata dalla pandemia e dall’invasione dell’Ucraina, il design è chiamato nuovamente a dare forma, senso e bellezza al futuro – ha affermato Ermete Realacci, Presidente di Fondazione Symbola – Molti aspetti della nostra vita, così come molti settori, cambieranno: dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera, arrivando ai prodotti che, in un contesto di risorse sempre più scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, riutilizzabili. Il Rapporto Design Economy quest’anno dedica un capitolo alla relazione tra il settore italiano e la sostenibilità, alla base del nuovo Bauhaus europeo lanciato dalla Presidente von der Leyen nel 2020 per contribuire alla realizzazione del Green Deal europeo. Perché, come scritto nel Manifesto di Assisi, affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario, ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”.
Per affrontare la sostenibilità è necessario un approccio culturale che aiuti il tessuto imprenditoriale italiano a entrare in contatto con una nuova generazione di problemi e bisogni. Essere davvero sostenibili implicherà sempre più uscire da una dimensione focalizzata solo sulla progettazione e sull’ottimizzazione di prodotti (o parti di essi). È un cambiamento nel quale il design può giocare un ruolo cruciale.
Se la maggioranza dei progettisti e delle imprese del design si sente complessivamente preparata sul tema, dichiarando competenze di alto (33,9%) e medio livello (55,1%), l’offerta per la sostenibilità attualmente si concentra sulla durabilità (57,6%) e in seconda battuta sulla riduzione dell’impiego di materie prime ed energia (43,4%), come testimoniano i risultati della survey condotta per l’edizione 2022 del report. Il punto d’incontro tra domanda e offerta dei servizi di design si concretizza già oggi nella progettazione con materie prime più sostenibili e l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse, individuate come principali priorità a cui il design è chiamato a rispondere in ambito sostenibilità dalle imprese e i progettisti intervistati nello studio che operano in tali ambiti. Tra i settori che trainano la domanda di servizi di design sostenibile ci sono soprattutto i comparti del Made In Italy. A primeggiare c’è il settore arredo (70%), seguito dall’automotive (56%), dall’immobiliare – ceramiche, pavimenti, fino agli elementi strutturali – (38%), dall’abbigliamento (30%) e dall’agroalimentare (13,3%).
La crescente consapevolezza ambientale e la conseguente importanza che il mercato – soprattutto quello che verrà – attribuisce agli aspetti ambientali sta stimolando l’impegno per un futuro sostenibile nell’ecosistema imprenditoriale italiano. Lo dimostrano diversi esempi concreti messi in campo sia dalle associazioni, come Federlegnoarredo (con “Decalogo” che mappa la domanda dei servizi di eco design) o Comieco (con l’indagine sulle caratteristiche dei pack utilizzati dai ristoranti); sia dalle aziende, come Italdesign (con il progetto Pop.Up Next, in ambito mobilità sostenibile) o Dyloan (con D-refashion lab, per dare una seconda vita ai capi d’abbigliamento invenduti); e dai progettisti come Mario Cucinella (in ambito ottimizzazione delle performance dell’edificio, come per la sede di Iperceramica).
“Nel nostro Paese il Design può essere una leva fondamentale per ripensare e orientare la strategia dell’intera organizzazione imprenditoriale in ottica sostenibile – ha sottolineato Ernesto Lanzillo, Responsabile di Deloitte Private Leader – Dalla revisione di prodotti e processi, per creare valore efficientando l’utilizzo delle risorse e indirizzando l’innovazione tecnologica e manageriale, alla definizione di una corporate identity ESG e alla sua comunicazione agli stakeholder. L’intero comparto può aiutare a ridefinire il futuro delle imprese in tutti i settori, specialmente quelli del Made in Italy, ma per farlo bisogna pensare ad azioni mirate, che consentano alle realtà del Design di continuare a crescere, irrobustendone la struttura e sviluppando una cultura d’impresa. Inoltre le imprese sostenibili sono più resilienti e crescono a ritmo più sostenuto rispetto alle aziende che non introducono tali pratiche. Questo sarà un fattore particolarmente rilevante, non solo alla luce delle priorità di sviluppo dei piani europei e nazionali come Next Generation EU e PNRR, ma anche per affrontare momenti di incertezza e di discontinuità come quelli che stiamo vivendo in questa fase”
Il sistema formativo è un sistema distribuito lungo tutto il Paese, ben 81 istituti accreditati dal Ministero dell’Istruzione: 22 Università, 16 Accademie delle Belle Arti, 15 Accademie Legalmente Riconosciute, 22 Istituti privati autorizzati a rilasciare titoli AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale) e 6 ISIA (Istituti Superiori per Industrie Artistiche). Per un totale di 291 corsi di studio, distribuiti in vari livelli formativi e in diverse aree di specializzazione.
Ne fanno parte punte di eccellenza come il Politecnico di Milano, al 1° posto in UE e 5° nel mondo secondo la prestigiosa classifica QS World University Rankings by Subject nel settore del design, comunque prima fra le Università pubbliche. A seguire, mantengono un importante ruolo per la formazione del designer l’Istituto Europeo di Design (IED) e la Nuova Accademia di Belle Arti (NABA). Complessivamente, sono formati 9.362 designer, due terzi dei quali risiedono al Nord, in particolare in Lombardia (49,8%).
Da quest’anno grazie alla collaborazione con Almalaurea e il Career Service del Politecnico di Milano si è aggiunto un ulteriore tassello informativo relativo alla situazione lavorativa a cinque anni dalla laurea e a cinque anni dal nostro primo rapporto sul design. La prima stima sul tasso di occupazione dei laureati magistrali in design a cinque anni restituisce un valore del 90%, superiore alla media del complesso dei laureati magistrali biennali in Italia; di questi, l’84% svolge una professione coerente con l’ambito del design.
“A fronte di potenti fenomeni di cambiamento in atto dalla crisi climatica alla trasformazione digitale, al difficile contesto geopolitico, il design, la pratica di un operatore intellettuale, sembra essere più attrezzato di altre discipline e professioni nel governare la complessità. Il successo della formazione e del placement dei designer, come evidente nel report della Fondazione, sottolinea questo aspetto – ha osservato Francesco Zurlo, Presidente POLI.design e Preside Scuola del Design – Un buon designer ha l’imperativo della responsabilità ogniqualvolta modifica tecnologie grezze per realizzare nuovi artefatti, confrontandosi con il ruolo dell’innovazione tra sapere, potere e suo uso. È inoltre disciplina che si confronta per natura con l’incertezza, condizione evidente e condivisa della contemporaneità. Il modello mentale che acquisisce un laureato in design lo pone costantemente di fronte a situazioni inattese e scelte conseguenti: è un allenamento all’incertezza e alla complessità che richiede contaminazione tra saperi e l’educazione di agenti, come spesso i designer, che operano come ponte tra discipline e conoscenze”.