Agroalimentare

“Deforestation-free”: approccio migliore che “Senza olio di palma”

Uno studio condotto da ricercatori del CMCC e Politecnico di Milano suggerisce un’alternativa alla sostituzione semplicistica dell’olio di palma con altri oli vegetali, concentrando invece l’attenzione sugli oli certificati come “deforestation-free”.

L’olio di palma è stato pesantemente criticato per il suo ruolo nella deforestazione delle foreste tropicali primarie, in particolare quelle in Malaysia e Indonesia, che ha determinato una significativa perdita di biodiversità e l’aumento delle emissioni di gas serra.

Di conseguenza molte aziende alimentari, temendo le ripercussioni sul marcato hanno sostituito l’olio di palma con oli vegetali alternativi, con il claim sui prodotti “senza olio di palma”.

Un recente Studio “Deforestation and greenhouse gas emissions could arise when replacing oil palm with other vegetable oils” condotto da ricercatori del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e Politecnico di Milano (PoliMi). nell’ambito del Progetto COBHAM, finanziato dall’European Research Council (ERC) e pubblicato online sulla rivista Science of the Total Environment, prima dell’edizione cartacea di agosto, esplora gli impatti ambientali della sostituzione dell’olio di palma con altri oli vegetali.

Lo studio ha esaminato gli scenari in cui il 25%, il 50% e il 100% dell’attuale utilizzo di olio di palma viene sostituito con oli di soia, colza e girasole, analizzando il potenziale impatto sui cambiamenti dell’uso del suolo, le perdite nella riserva di carbonio forestale e le conseguenti emissioni di gas serra derivanti dalla sostituzione dell’olio di palma con oli vegetali alternativi.

Sebbene queste alternative mostrino minori input agricoli ed emissioni per unità di produzione, richiedono più terra.

Ma dove troviamo questa terra aggiuntiva? – si chiede la ricercatrice del CMCC Maria Vincenza Chiriacò, prima autrice dello studio – Questa espansione dell’uso del suolo potrebbe portare alla deforestazione in altre regioni, trasferendo il problema anziché risolverlo“.

Sostituire l’olio di palma con altri oli, infatti, richiederebbe molto più terra a causa del loro minor rendimento per ettaro. I ricercatori hanno stimato che questo cambiamento potrebbe mettere a rischio tra i 28 e i 52 milioni di ettari di foreste negli otto principali paesi produttori analizzati (Argentina, Brasile, Canada, Cina, India, Russia, Ucraina, USA).

Questa conversione del suolo potrebbe compensare eventuali risparmi sulle emissioni derivanti da minori input agricoli, mantenendo o addirittura aggravando i problemi di deforestazione ed emissioni.

La sostituzione di olio di palma con altri oli vegetali potrebbe portare a ulteriori problemi di deforestazione – ha proseguito Chiriacò – La nostra ricerca dimostra che la migliore soluzione è utilizzare olio di palma purché sia certificato deforestation-free”.

Tali certificazioni – ha aggiunto afferma Monia Santini, Direttrice dell’Istituto per la Resilienza Climatica (ICR) del CMCC, e co-autrice dello studio – garantiscono che gli oli siano prodotti su terre che non sono foreste, come terre agricole esistenti o terre marginali già destinate all’agricoltura, o su terre che non sono state recentemente deforestate, minimizzando così il danno ambientale”.

Lo studio mostra che se la totalità di olio di palma oggi utilizzato fosse certificato come “deforestation-free”, le emissioni dalla produzione potrebbero diminuire del 92%, scendendo da 372 milioni di tonnellate a circa 29 milioni di tonnellate di CO2eq.

Per valutare l’idoneità del suolo per le colture di oli alternativi a quello di palma, lo studio ha utilizzato dati delle Global Agro-Ecological Zones (GAEZ) della FAO e altri set di dati, combinando la Valutazione del Ciclo di Vita (LCA) con le emissioni di Cambiamento d’Uso del Suolo (LUC) per una visione completa della questione. Questo approccio fornisce informazioni sia sulle emissioni derivanti dalle pratiche agricole che sugli impatti della conversione del suolo.

Stiamo lavorando per estendere queste analisi a scenari futuri oltre il 2050, considerando gli impatti del cambiamento climatico e la fattibilità dell’adozione di diete raccomandate dalla Commissione EAT-Lancet per la salute planetaria – ha concluso Chiriacò – In questo modo, potremmo vedere se i cambiamenti previsti dell’uso del suolo sono sostenibili nel lungo termine e come si allineano con le esigenze dietetiche globali, in un mondo con una popolazione in crescita e un clima in cambiamento”.

In copertina: Foto di Mikhail Nilov su Pexels

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