Il CCPI (Indice di performance sui cambiamenti climatici) di Germanwatch, CAN International e NewClimate Institute, presentato l’8 dicembre 2023 alla COP28 di Dubai, mostra che dopo 8 anni dall’adozione dell’Accordo di Parigi, nessun Paese sta facendo abbastanza per raggiungere gli obiettivi sottoscritti, e che l’Italia passa dalla 29ma alla 44ma posizione, collocandosi tra i Paesi con i risultati complessivamente più bassi.
Negli ultimi anni, i Governi di tutto il mondo hanno inserito sempre più l’azione climatica nella loro agenda politica e l’energia rinnovabile è in forte espansione in molti Paesi. Tuttavia, questo non è ancora sufficiente. La corsa contro il tempo continua: le emissioni globali devono quasi dimezzarsi entro il 2030, e la riduzione dell’uso di combustibili fossili dovrebbe rappresentare la maggior parte di questo taglio.
È quanto emerge dal Climate Change Performance Index (CCPI) 2024 , presentato l’8 dicembre 2023 alla COP28 di Dubai, come da consuetudine, nel corso di una Conferenza stampa, e redatto da Germanwatch, ONG con sede a Bonn che si prefigge di promuovere l’equità globale e la salvaguardia dei mezzi di sussistenza, Climate Action Network (CAN International), Rete globale di oltre 1.800 organizzazioni della società civile in oltre 130 Paesi, con l’obiettivo di arrestare gli effetti più pericolosi dei cambiamenti climatici, e NewClimate Institute, Istituto di ricerca sui cambiamenti climatici che si adopera per l’implementazione dell’Accordo di Parigi e per il sostegno allo sviluppo sostenibile.
Il CCPI è uno strumento di monitoraggio indipendente sulle prestazioni di protezione del clima di 63 Paesi e UE nel suo insieme, che assommano il 90% delle emissioni di gas serra, con l’obiettivo di migliorare la trasparenza nella politica climatica internazionale, consentendo il confronto degli sforzi e dei progressi di protezione del clima dei singoli Paesi.
Il CCPI viene calcolato attraverso un indice complessivo a cui concorrono 4 diversi parametri e 14 indicatori:
– i livelli di emissione che contribuiscono al 40% del peso complessivo (20% per il livello di emissione dell’anno preso in considerazione e 20% per il trend nel corso degli anni);
– il 20% viene assegnato per lo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%);
– il 20% per i consumi energetici;
– il 20% alle politiche climatiche (10% per quelle nazionali e 10% per quelle internazionali), sulla base di un sondaggio tra oltre 200 esperti climatici di ONG e think tank dei rispettivi Paesi interessati.
A 8 anni di distanza dall’Accordo di Parigi nessun Paese è su un percorso conforme all’obiettivo concordato di mantenere il riscaldamento globale entro i +2 °C e di fare ogni sforzo per limitarlo a +1,5 °C. Così anche quest’anno i primi 3 posti della classifica non sono stati assegnati ad alcun Paese.
In testa alla classifica si conferma la Danimarca, con Estonia e Filippine che occupano il “podio” virtuale. Seguono India, Paesi Bassi, Marocco, Svezia, Cile, Norvegia, Portogallo, a completare la Top ten.
In fondo si collocano, Arabia Saudita, ultimo stabilmente tra i Paesi grandi utilizzatori e produttori di combustibili fossili, Iran, Emirati Arabi Uniti (il Paese che ospita la COP28), Corea del Sud e Russia.
“Alcuni paesi ottengono buoni risultati in singole categorie, ma nessun paese ottiene costantemente risultati ‘alti’ o ‘molto elevati’ – ha affermato Jan Burke di GermanWatch e co-autore del Rapporto – La media semplicemente non è sufficiente per un percorso fino a 1,5 °C. I Paesi devono basarsi sulle misure e sugli obiettivi esistenti e moltiplicare i propri sforzi. In tal senso la COP 28 gioca un ruolo cruciale. Una decisione vincolante di triplicare la capacità di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica e ridurre drasticamente l’uso di carbone, petrolio e gas fino al 2030 potrebbe aprire la strada a un percorso in linea con gli obiettivi climatici di Parigi”.
Tra i grandi Paesi emettitori, la Cina rimane al 48° posto (tenendo contro che i primi 3 sono vuoti) sebbene abbia un settore delle energie rinnovabili in forte crescita e migliori le misure di efficienza energetica, ma rimane tra i 9 Paesi responsabili del 90% della produzione globale di carbone e prevede di aumentare la produzione di gas entro il 2030.
Gli Stati Uniti (51° posto in peggioramento), il secondo maggiore emettitore, non sono ancora sulla buona strada: “I nostri esperti statunitensi accolgono con favore l’Inflation Reduction Act, rilevante per il clima, che ha portato a investimenti significativi nelle energie rinnovabili – ha osservato Burcke – Ma sono necessarie politiche di attuazione più concrete in tutti i settori. Tuttavia, il disastroso record di politica climatica della prima amministrazione Trump fa temere che una potenziale nuova amministrazione Trump possa peggiorare ulteriormente il quadro”.
L’India (4° posto), Germania (11° posto) e UE (13° posto), sono i tre membri del G20 che figurano tra i Paesi con risultati complessivamente “alti” nel CCPI 2024.
In particolare l’UE ha guadagnato 3 posizioni, conseguendo una valutazione media in tutte e quattro le categorie. Sono 14 i Paesi membri che rientrano nella fascia alta e media con i migliori risultati di Danimarca e Estonia in testa alla classifica. I Paesi Bassi migliorano le loro prestazioni in tre delle 4 categorie del CCPI, salendo di 5 posizioni, raggiungendo un livello elevato. La Polonia (52° posto) è il Paese membro che consegue il voto più basso, ponendosi nella fascia dei Paesi con le performance peggiori. Desta preoccupazione il crollo dell’Italia che arretra di ben di 15 posizioni al 41° posto, collocandosi nella fascia dei Paesi on i risultati complessivamente bassi
Nella scheda dedicata si legge che l’Italia si colloca in basse posizioni nelle categorie relative alle emissioni di gas serra e alla politica climatica e in posizione media nelle energie rinnovabili e nell’uso dell’energia. Il Governo del paese ha fatto poco per spingere verso politiche climatiche più ambiziose; in alcune aree si è addirittura fatto marcia indietro.
Nessuna politica chiara per la decarbonizzazione
Nel giugno 2023, l’Italia ha annunciato una revisione del proprio Piano Nazionale per l’Energia e il Clima (PNIEC) che, sebbene sia migliore del precedente PNEC, secondo gli esperti nazionali della CCPI non sia adeguata. L’eliminazione graduale del carbone prevista per il 2025 potrebbe essere posticipata al 2028. L’obiettivo delle energie rinnovabili è del 40,5% nel consumo finale di energia e del 65% per il consumo energetico entro il 2030. Sebbene vi sia un certo sostegno per l’energia e gli impianti rinnovabili stiano aumentando, ci sono ancora dei colli di bottiglia. Non esistono politiche chiare per la decarbonizzazione (ad esempio nel settore industriale).
L’Italia importa elevate quantità di pellet di legno, principalmente per il settore del riscaldamento. Nel settore dei trasporti, il Paese non dispone di politiche per la decarbonizzazione. Il PNIEC prevede in questo settore sei milioni di veicoli elettrici e una quota del 30% di energie rinnovabili entro il 2030, ma secondo gli esperti non esistono piani concreti su come attuare l’obiettivo dell’UE di vietare la vendita di veicoli con motore a combustione entro il 2035, peraltro criticato dal Governo.
È prevista una nuova infrastruttura per i combustibili fossili
Anche le politiche sui combustibili fossili stanno facendo passi indietro. Sono previste nuove infrastrutture per gasdotti e terminali di rigassificazione e non è in vista alcun piano di eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili. Questo denaro potrebbe essere investito in misure per energia pulita ed efficienza energetica. Sebbene il Paese abbia aderito alla Carbon Neutrality Coalition e alla Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA), non assume un ruolo di primo piano nella politica internazionale sul clima.
Gli esperti chiedono che il Governo italiano confermi l’eliminazione graduale del carbone entro il 2025, decida obiettivi più ambiziosi per le energie rinnovabili, interrompa le infrastrutture e l’estrazione dei combustibili fossili ed elimini gradualmente tutti i sussidi ai combustibili fossili.
Oltre all’Italia, altri 14 Paesi del G20 ricevono un punteggio complessivo “basso” o “molto basso“. Rimangono tra i Paesi con i risultati peggiori: Giappone al 55° posto (stabile), Canada al 59° posto (con performance in peggioramento), Russia (60°), Corea del Sud (61°) e Arabia Saudita (64) ultima con le emissioni pro capite di gas serra in costante aumento, mentre la sua quota di energia rinnovabile nella fornitura totale di energia primaria è vicina allo zero e gli obiettivi del Paese sono troppo bassi.
“Il CCPI mostra ancora una volta che i maggiori produttori ed esportatori di combustibili fossili sono i peggiori dell’indice – Janet Milongo, Senior Officer del Climate Action Network International – Ciò giustifica adeguatamente le richieste di eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili, in modo rapido e per sempre e finanziato, senza spazio per distrazioni pericolose. Tutti gli Stati dovrebbero concentrare tutti i loro sforzi e i loro finanziamenti verso l’implementazione di sistemi di energia rinnovabile fino al 100% in modo giusto, equo e rapido”.
Tuttavia, un Paese del G20, il Brasile è migliorato in modo significativo, scalando ben 15 posizioni fino al 23° posto. Come previsto, il cambio della Presidenza brasiliana ha avuto un impatto positivo. Sotto il presidente Lula, il Paese sta perseguendo una politica climatica più progressista, sia a livello internazionale che nazionale. Gli esperti del Paese sottolineano come il Paese stia ancora espandendo la produzione di combustibili fossili e potrebbe non raggiungere i suoi obiettivi climatici.
‘Vediamo due sviluppi contrastanti: da un lato il boom delle energie rinnovabili e il continuo aggiornamento da parte dei governi dei propri obiettivi in materia di energie rinnovabili. D’altro canto, l’elaborazione delle politiche climatiche in generale ha subito un rallentamento – ha aggiunto il co-autore Niklas Höhne del NewClimate Institute – Per la prima volta, nessun Paese si colloca ‘in alto’ nella categoria ‘Politica climatica’. Anche in Paesi con politiche climatiche relativamente ambiziose, come la Danimarca, dove l’azione per il clima si è quasi interrotta dalle elezioni nazionali dell’ottobre 2022. Ciò minaccia gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni per il 2025 e il 2030. L’India, il Paese più popoloso del mondo, si colloca al 7° posto nella CCPI di quest’anno [ndr: al 4° se si considera che i primi 3 posti rimangono vuoti], principalmente per le emissioni pro capite relativamente basse e del basso consumo energetico pro capite. C’è stata un’espansione positiva delle rinnovabili, ma il Paese rimane fortemente dipendente dal carbone. L’India deve aumentare la propria quota di energia rinnovabile e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Gli obiettivi rinnovabili dell’India per il 2030 rimangono troppo bassi”.