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Amazzonia: la foresta pluviale da pozzo diventa fonte di carbonio

Secondo un nuovo Studio che ha preso in esame il bilancio del carbonio dell’Amazzonia negli ultimi 20 anni, ha scoperto che la più grande foresta pluviale del mondo, sotto la spinta dei cambiamenti climatici, della deforestazione e degli incendi, è diventata emettitrice di 0,3 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno, con il rischio di costituire un punto di non ritorno del sistema climatico globale.

La foresta pluviale dell’Amazzonia ha un ruolo importante per il bilancio globale del carbonio per lo stoccaggio e l’assorbimento della CO2, rimuovendone un quarto di quella di origine antropica emessa nell’atmosfera, ma ora ne emetterebbe più di quanta ne catturi.

La preoccupante scoperta sul rischio di un “tipping point” nel sistema climatico terrestre, con implicazioni di vasta portata per il tentativo di rallentare il ritmo dei cambiamenti climatici e l’aumento della temperatura, è stata fatta da un gruppo internazionale di ricercatori coordinato dall’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali (INPE) del Brasile e contenuta nello Studio Amazonia as a carbon source linked to deforestation and climate change”, pubblicato il 14 luglio su Nature.

Gli autori hanno studiato il bilancio del carbonio dell’Amazzonia e i principali fattori responsabili del suo cambiamento in una fonte di carbonio, utilizzando un approccio basato sull’osservazione per valutare i flussi di carbonio dell’ecosistema e hanno utilizzato 590 misurazioni aeree di concentrazione di anidride carbonica e monossido di carbonio nella bassa troposfera effettuate dal 2010 al 2018 su 4 aree, rappresentative dell’intera Amazzonia.

I ricercatori hanno così scoperto che le emissioni totali di carbonio sono maggiori nell’Amazzonia orientale rispetto alla parte occidentale perché negli ultimi 40 anni la regione è stata soggetta ad un’intensa deforestazione, ad un maggiore riscaldamento e a stress idrico rispetto alla parte occidentale, specialmente durante la stagione secca, con il sud-est che ha registrato le tendenze più accentuate.

Abbiamo esplorato l’effetto dei cambiamenti climatici e le tendenze della deforestazione sulle emissioni di carbonio nelle aree di studio, scoprendo che l’intensificarsi della stagione secca e un aumento della deforestazione promuovono lo stress dell’ecosistema, l’aumento degli incendi e le maggiori emissioni di carbonio nel Amazzonia orientale – affermano i ricercatori – Ciò è in linea con studi recenti che indicano un aumento della mortalità degli alberi e una riduzione della fotosintesi a causa dei cambiamenti climatici in tutta l’Amazzonia”.

Fonte: Nature

Dal 1970, le foreste tropicali della regione sono diminuite del 17%, principalmente per ospitare i pascoli per l’allevamento del bestiame e le colture di soia per alimentarlo. Le foreste vengono generalmente disboscate con il fuoco, che rilascia grandi quantità di CO2 e riduce il numero di alberi disponibili per assorbirla. Anche i cambiamenti climatici costituiscono un driver chiave di questa situazione, con le temperature della stagione secca che sono aumentate di quasi 3°C rispetto ai livelli preindustriali, il triplo della media globale annuale.

Ormai possiamo dire che il budget dell’’Amazzonia è di 0,3 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno rilasciate in atmosfera – ha dichiarato Lucia Gatti dell’INPE, coordinatrice e principale autrice della ricerca, nonché membro del Comitato direttivo per il Sistema di informazione globale sui gas serra integrato guidato dal WMO – È un messaggio orribile. La prima brutta notizia è che l’incendio delle foreste produce circa tre volte più CO2 di quanto la foresta assorba. La seconda cattiva notizia è che i luoghi in cui la deforestazione è pari o superiore al 30% mostrano emissioni di carbonio 10 volte superiori rispetto a quelle in cui la deforestazione è inferiore al 20%. C’è bisogno di un accordo globale per salvare l’Amazzonia”.

L’ IPCC nel suo Rapporto speciale  Climate Change and Land (SRCCL) del 2019 aveva evidenziato che l’aumento della temperatura globale “avrebbe comportato l’emergere di nuovi climi caldi nei tropici e l’aumento della frequenza, dell’intensità e della durata di eventi estremi (ad es. piogge abbondanti, siccità). Questi climi caldi emergenti influenzeranno negativamente l’uso del suolo (attraverso i cambiamenti nella produttività delle colture, le esigenze di irrigazione e le pratiche di gestione) e la copertura del suolo attraverso la perdita di produttività della vegetazione in molte parti del mondo e supererebbero qualsiasi beneficio per l’uso del suolo e la copertura del suolo derivanti da aumento delle concentrazioni atmosferiche di CO2”.

In copertina: Veduta aerea della deforestazione nella riserva biologica di Nascentes da Serra do Cachimbo ad Altamira (Stato brasiliano del Pará nel bacino amazzonico), il 28 agosto 2019. Fonte: Joao Laet/Getty Images

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