Uno Studio condotto da ricercatori del Politecnico di Milano, nell’ambito del Progetto di ricerca “D-DUST”, finanziato da un Bando della Fondazione Cariplo, mostra come l’agricoltura in Lombardia causi un’esposizione a PM2,5 paragonabile alle fonti urbane più studiate, con potenziali implicazioni sulla salute umana.
L’impatto delle attività agricole sulla distribuzione spaziale delle polveri sottili (PM 2,5) in Lombardia è paragonabile all’impatto di fonti conosciute di inquinamento, come l’urbanizzazione, l’industria e i trasporti.
È quanto emerge dallo Studio “Implementation of a GEOAI model to assess the impact of agricultural land on the spatial distribution of PM2.5 concentration”, pubblicato sul numero di marzo 2024 di Chemosphere e condotto da ricercatori del Politecnico di Milano (POLIMI) nell’ambito del Progetto di ricerca D-DUST (Data-driven moDelling of particUlate with Satellite Technology aid), finanziato dal bando “Data Science for Science e Society” di Fondazione Cariplo, il cui scopo è stato quello di valutare il contributo – in termini di operabilità, rapporto costo-efficacia e accuratezza – derivato dall’integrazione sistematica di dati non convenzionali nei tradizionali approcci di monitoraggio del particolato basati su sensori fissi a terra, con particolare attenzione alle stime basate su satellite e alle emissioni correlate all’agricoltura.
“Il potenziale contributo di questi dati al miglioramento della copertura spaziale e temporale delle misurazioni di qualità dell’aria giocherà un ruolo fondamentale per analisi di esposizione della popolazione sempre più accurate – ha dichiarato la Prof.ssa Maria Brovelli, docente di Sistemi Informativi Geografici al POLIMI e co-Responsabile del Progetto assieme all’Ing. Daniele Oxoli, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale – La ricerca è importante perché si è cercato di potenziare la conoscenza a livello locale delle polveri fini anche nelle aree non coperte dalle stazioni di misurazione a terra, al fine di fornire stime e previsioni replicabili e spendibili nel monitoraggio e nell’analisi dell’esposizione della popolazione a tale inquinante”.

In particolare, lo studio ha evidenziato che il contributo dell’agricoltura è risultato correlato più a picchi di inquinamento che ad un incremento di base, ma con una durata limitata nel tempo. Tra le colture analizzate, mentre le risaie hanno mostrato un impatto minimo, le coltivazioni di mais e cereali hanno mostrato un contributo significativo all’inquinamento.
Per ricavare la concentrazione di PM2.5 sono stati utilizzati sia i dati di osservazione della Terra tramite satellite che i modelli atmosferici del programma Copernicus, mentre le informazioni sull’uso del suolo sono state ottenute dal database ad accesso aperto e dal sistema informativo agricolo della Regione Lombardia.
Per l’analisi è stato utilizzato l’innovativo sistema GEOAI (Geomatics and Earth Observation Artificial Intelligence) composto da un’architettura a tre fasi, che consente di misurare e interpretare le dinamiche spaziali su scala locale e di confrontare gli effetti dei diversi usi del suolo sull’inquinamento. Grazie a questo nuovo approccio, sarà possibile generare nuove prove sulla concentrazione di inquinanti dovuta a specifiche attività agricole, come la fertilizzazione e le fuoriuscite di letame.