L’ “acquaponica”, pratica della piscicoltura combinata con la coltivazione di piante in acqua senza suolo, è un valido esempio di sostenibilità, quale strumento di contrasto al consumo d’acqua e di utilizzo efficiente delle risorse.
La FAO ha pubblicato la Storia “Ogni goccia conta”, sul Progetto di successo di acquaponica in Paesi del Nord Africa e Medio Oriente, quale esempio di pratica agricola del futuro: produrre più cibo con meno risorse.
Il termine acquaponica mette assieme acquacoltura, ovvero l’allevamento di pesci d’acqua dolce, e idroponica, coltivazione di piante in acqua senza suolo.
Nell’acquaponica, l’acqua ha un duplice scopo: ospitare pesci e coltivare colture, generando due prodotti contemporaneamente. E non è l’unico vantaggio: i rifiuti dei pesci fecondano l’acqua utilizzata dalle piante, senza il bisogno di somministrare fertilizzanti chimici, e queste a loro volta depurano l’acqua per i pesci, tramite l’assorbimento di azoto operato dalle radici.

Le aziende agricole integrate (IAA) che la praticano possono ridurre il consumo di acqua del 90% rispetto all’agricoltura tradizionale, quando a livello globale l’agricoltura tradizionale utilizza circa il 70% delle acque dolci disponibili.
Nelle regioni del mondo in cui le già scarse riserve d’acqua stanno diventando ancora più scarse, i modi innovativi di coltivare il cibo sono fondamentali. Generalmente dove c’è carenza idrica, sussiste anche una penuria di suoli fertili, come avviene appunto nel Medio Oriente e il Nord Africa (Paesi MENA). Fornire alle popolazioni della regione alimenti prodotti localmente che forniscono loro proteine e minerali di cui hanno bisogno, ma senza un uso intensivo dell’acqua, costituisce una formidabile soluzione.
Tuttavia, l’espansione di questi tipi di fattorie richiede ripensamenti e conoscenze tecniche che non tutti gli agricoltori hanno. È qui che l’esperienza della FAO è risultata preziosa.
“La FAO è stata una delle prime agenzie delle Nazioni Unite a guardare all’acquacoltura nelle terre desertiche e aride e ad indagare le soluzioni più adatte alla carenza idrica, al degrado del suolo e alla sicurezza alimentare – ha affermato Valerio Crespi, responsabile Pesca e Acquacoltura della FAO – È un privilegio per la FAO essere visto come colui che ha le competenze per questi tipi di interventi“.
Tale pratica comincia a diffondersi anche in altre aree geografiche dove non mancano acqua e suoli. Il ciclo chiuso combinato acquacoltura + coltivazione fuori suolo, infatti, è un vero e proprio modello di sostenibilità e di agricoltura urbana, con la produzione di cibo a Km zero.
In Italia sono ancora pochi gli impianti di tal genere e si ritrovano presso centri commerciali e imprese agricole, anche per il fatto che in Europa non sono molte le aziende in grado di offrire sistemi e moduli professionali.
Foti di copertina: FAO/Valerio Crespi