Un mondo senza pesci nel 2050: tra 40 anni potrebbe essere una realtà. L’allarme è stato lanciato dalle Nazioni Unite nel corso di un convegno organizzato dalla Ocean Sanctuary Alliance, una coalizione di paesi tra cui Italia, Bahamas, Polonia, Palau, Maldive, Australia, Olanda e Israele che ha l’obiettivo di salvare la fauna marina.
Il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, la pesca eccessiva e la distruzione degli ecosistemi marini: sono queste le cause che, se portate avanti ai ritmi attuali, potrebbero condurre entro il 2050 ad un vero e proprio svuotamento di pesci nei mari e negli oceani.
È l’allarme lanciato dall’ONU in occasione di un convegno organizzato dalla Ocean Sanctuary Alliance, una partnership di paesi tra i quali Italia, Bahamas, Polonia, Palau, Maldive, Australia, Olanda e Israele, che ha lo scopo di garantire l’impegno delle nazioni per arrivare a conservare e usare sostenibilmente mari e oceani e le risorse marine, nel rispetto dell’Obiettivo di Sviluppo sostenibile n. 14 che dovrebbe essere approvato il prossimo settembre dalle stesse Nazioni Unite.
A dimostrare l’urgenza della questione uno studio degli scienziati della University of British Columbia (UBC) presentato recentemente in Giappone. La ricerca ha come titolo “Predicting Future Ocean” ed è inserita nel programma Nereus, costituito da un gruppo internazionale guidato da scienziati dell’UBC e sostenuto dalla Fondazione Nippon e creato con l’intento di studiare quello che sarà il futuro degli oceani e della vita in essi contenuta, con particolare riferimento alle specie ittiche.
A sostenere il progetto di ricerca interdisciplinare, che durerà nove anni, anche l’Università di Cambridge, la Duke University, la Princeton University, l’Università di Stoccolma, il World Conservation Monitoring Centredel Programma Ambientale delle Nazioni Unite e l’Università di Utrecht.
Lo studio sostiene che il settore della pesca subirà inevitabilmente un calo, che la biodiversità marina cambierà, così come i meccanismi della rete che distribuisce il pesce in tutto il mondo, determinando pesanti conseguenze non solo a livello ambientale, ma anche economico e sociale ed incidendo molto sull’alimentazione.
“Questi non sono tempi ordinari – ha osservato il rappresentante delle Bahamas Elliston Rahming – gli oceani di domani dipendono da oggi. Quindici delle più grandi riserve ittiche del mondo sono sovrasfruttate. Oltre quattro miliardi di persone dipendono dal mare per il cibo, ma saliranno a sette miliardi nel 2030 e nel 2050, quando nove miliardi di esseri umani potrebbero farvi affidamento, il 90% della fauna marina commerciale sarà estinta, se non si corregge la rotta subito. Le Bahamas hanno preso le prime contromisure impegnandosi ad aumentare le oasi marine del 10% entro il 2020”.
“Oceani e mari – ha ricordato il rappresentante permanente italiano all’Onu Sebastiano Cardi – sono un’opportunità e una sfida in cui tutti hanno una posta in gioco. Le oasi marine sono cruciali per il mantenimento dell’equilibrio ecologico, essenziale per l’esistenza umana. L’Italia sta dando dimostrazione del suo impegno con l’iniziativa pilota del piccolo stato di Palau per dar vita alla prima riserva marina nazionale”.
Iniziative e modelli simili sono stati presentati anche dall’ambasciatore australiano Gillian Bird e da quello olandese Karel van Oosterom che hanno citato le due sfide contrapposte dei loro paesi di appartenenza: l’inquinamento da traffico navale nel Mare del Nord e quello legato al turismo di massa nei piccoli angoli di Olanda caraibici di Aruba e Curaçao.
Dunque fare qualcosa è fondamentale. Come suggeriscono gli stessi scienziati dell’UBC bisogna prima di tutto migliorare la governance degli oceani e praticare politiche di pesca sostenibili per preservare le risorse attuali; allo stesso tempo occorre portare avanti azioni coraggiose per ridurre le emissioni di CO² nel tentativo di non oltrepassare la soglia dei fatidici “+2°C” entro la fine del secolo.
“Se non seguiremo tali azioni di preservazione, i tipi di pesce che porteremo in tavola saranno in futuro molto diversi – ha concluso William Cheung, co-direttore del programma Nereus – I pescatori cattureranno molte più specie di acqua calda, dalle dimensioni inferiori, e questo influenzerà notevolmente l’approvvigionamento ittico proveniente sia dalle attività di pesca nazionale e d’oltremare, sia dalle importazioni. Con le conseguenze che tutti possiamo immaginare”.