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Prima dei barconi: cosa spinge i migranti ad abbandonare i propri Paesi

prima dei barconi

L’Unione europea non ha mai avuto una politica migratoria comune ed è costretta a prendere decisioni sotto la spinta degli eventi, come dimostra anche il Consiglio UE dei Ministri degli Interni che ha rinviato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 24-25 giugno ogni decisione in merito alla situazione emergenziale che l’Europa sta vivendo.
Secondo gli autori del Rapporto di Migration Policy Institute Europe, i decisori politici rischiano di “prendere decisioni al buio” in assenza di approfondite conoscenze del fenomeno.

Il Consiglio UE “Giustizia e Affari interni” del 16 giugno 2015 che aveva all’ordine del giorno la discussione e la decisione su alcuni aspetti dell’Agenda UE sull’Emigrazione si è concluso, rinviando al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo del 25-26 giugno prossimi ogni decisione sulla ripartizione delle quote dei richiedenti asilo.
Questo allungamento dei tempi decisionali determinerà anche quello della effettiva redistribuzione per quote dei 40.000 migranti aventi diritto alla protezione internazionale, inizialmente prevista dal 1° luglio 2015.
Questi continui stop and go, confermano che l’Unione non ha avuto una vera politica comune sull’Immigrazione e si trova ora ad affrontare lo straordinario flusso di migranti.

Nel 2014 sono stati 220.000 i richiedenti asilo e gli altri migranti che hanno raggiunto l’Europa, principalmente attraverso la pericolosa rotta del Mediterraneo sui barconi dei trafficanti. Per questa via, nel 2015 sono già arrivate 90.000 persone e la stagione più favorevole per intraprendere il viaggio è appena iniziata.

Di fronte a numeri senza precedenti, i politici europei sono sotto pressione per approntare le soluzioni, senza avere le necessarie informazioni e adeguata consapevolezza del fenomeno che cercano di arginare, “prendendo decisioni al buio” secondo quanto riportato nel  Rapporto “Before the Boat. Understanding the Migrant Journey” (Prima dei barconi. Capire il viaggio dei migranti), pubblicato dalla sezione europea di Bruxelles di Migration Policy Institute, think tank non profit che si dedica agli studi di politiche migratorie nel mondo.

Nel Rapporto si sostiene che per approntare politiche efficaci, i politici dovrebbero conoscere le forze trainanti che stanno dietro le decisioni e gli spostamenti dei migranti, anche attraverso una comprensione globale delle reti di trafficanti che vengono utilizzate.
Basato sui risultati delle interviste effettuate, come riconoscono gli stessi autori, il Rapporto è soggetto a delle limitazioni, tra cui quella della “distorsione della destinazione” che vede gli sviluppi del processo dalla prospettiva del Paese di destinazione e di quella di coloro che ce l’hanno fatta, non già da quella di coloro che hanno desistito durante il viaggio o hanno rinunciato prima di partire.

Vi si afferma,  inoltre, che c’è scarsa consapevolezza delle modalità con cui i migranti prendono decisioni e di come il loro modo di valutare il rischio personale sia spesso molto più articolato e lungimirante di quanto non appaia.
I responsabili politici dovrebbero prendere in considerazione anche la struttura e la capacità economica delle reti di trafficanti, che potrebbero contribuire ad individuare i punti deboli e quelli di pressione delle organizzazioni.

Assai interessante nel Rapporto è la parte in cui gli autori confutano alcune idee comuni assai diffuse, ma che risultano sbagliate o semplicistiche, come quelle che seguono.
I migranti intraprendono tali pericolosi viaggi, perché non ne conoscono i rischi.
Dalla ricerca emerge che i migranti conoscono bene i rischi a cui vanno incontro, ma i benefici a lungo termine che si aspettano dal raggiungimento della meta di destinazione fa loro passare in secondo piano i pericoli immediati.
I migranti costretti, come coloro che fuggono dai conflitti in Siria, vivono in condizioni di grave disagio nei Paesi dove si sono rifugiati, come Turchia, Libano e Egitto, e la loro permanenza in quei luoghi potrebbe risultare più pericolosa del rischio a breve termine in cui incorrono per raggiungere un posto più sicuro in Europa.

I Paesi di origine e quelli di transito dovrebbero arginare il flusso di migranti irregolari.
Seppure nell’Agenda dell’UE sulla migrazione sia previsto che si debba “lavorare con i Paesi terzi per affrontare la migrazione a monte”, nel rapporto si sottolinea che i Paesi di origine e di transito hanno limitato interesse o scarsa capacità nell’affrontare l’immigrazione irregolare, anche perché l’attuazione pratica degli accordi di cooperazione è assai lenta.

L’importanza politica di arrestare gli arrivi di migranti irregolari nell’UE non è avvertita come tale dai Paesi terzi – ha affermato Jacob Townsend, uno dei due autori del Rapporto e Amministratore delegato di Farsight, impresa sociale per lo sviluppo e la sicurezza che ha sede a Bruxelles – Perché ci si dovrebbe aspettare che il Sudan agisca in modo migliore per quel che attiene i migranti e il crimine organizzato se la Grecia è in grosse difficoltà a rispondere su quel che sta facendo? L’idea che si possa semplicemente chiedere ai propri partner  di fare qualcosa in merito quando la sfida è chiaramente enorme, potrebbe risultare deludente”.

I migranti sono vittime di trafficanti
L’idea diffusa che il trafficante sia fornitore di servizi e il migrante è vittima passiva e merce non è in molti casi corretta, perché il migrante per lo più è un giocatore attivo di fronte a scelte difficili, è piuttosto un consumatore secondo gli autori.
I migranti cercano informazioni e raccomandazioni da amici e parenti che hanno già fatto il viaggio e , in minor misura, si basano su notizie disponibili su social media, prima di decidere quali trafficanti utilizzare.
A volte il trafficante è visto come colui che è in grado di salvarti la vita – ha chiarito Christel Oomen, l’altro autore del Rapporto – Simile ad una guida turistica, in grado di farti viaggiare su strade sicure, non controllate dalle forze governative”.

Un giro di vite alle reti dei trafficanti ridurrà drasticamente la migrazione irregolare.
Le reti dei trafficanti sono variabili e in grado di adattarsi alle nuove politiche e alle iniziative di applicazione delle leggi più rapidamente di quanto i Governi siano in grado di elaborarle. Spesso utilizzano collaborazioni accomodanti come quelle di funzionari corrotti e di dipendenti di imprese legali, quali di agenzie di viaggi o compagnie di trasporto.
Secondo gli autori tentare di smantellare queste reti con campagne militari a breve termine, avrebbe solo un effetto temporaneo.
La questione fondamentale è: per quanto tempo una simile azione può essere supportata? Sia in termini politici che di costi – ha sottolineato Townsend – È assai probabile che i trafficanti durino molto più a lungo dell’UE se questa è l’unico punto di appoggio”.

Le politiche migratorie e di asilo hanno un riflesso importante sulla scelta della destinazione dei migranti.
Secondo il Rapporto, la decisione di scegliere un determinato Paese europeo per lo più non dipende dalle sue politiche migratorie, bensì dalla presenza di una forte comunità di migranti e dalle sue “attraenti” condizioni economiche e sociali.
Mentre il quadro giuridico e politico dell’UE opera una distinzione tra coloro che legittimamente possono fare una richiesta di asilo e quelli che non sono in questa condizione, i migranti non fanno questa distinzione.
Per la maggior parte delle persone con cui abbiamo parlato, la questione chiave è il risultato a lungo termine – ha chiarito Townsend – Per tutti la domanda a cui cercano di trovare risposta è: sarò in grado di risiedere stabilmente in Europa?”.

Secondo il Direttore di Migration Policy Institute EuropeElizabeth Collett, una migliore comprensione di come i migranti siano influenzati dalle politiche dell’UE potrebbe determinare interventi più efficaci, riconoscendo che in assenza di una solida base di conoscenze a cui attingere i responsabili politici dell’UE sono stati costretti spesso a prendere decisioni sotto l’impellenza della questione migratoria.
È possibile che l’UE sia disposta a ragionare di più sulla complessità di questo fenomeno – ha concluso la Collett – ma si è solo all’inizio di questo processo che sarà profondamente modellato dagli eventi e dalla politica.

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